Home Ricerca Alimenti alternativi per l’allevamento dei suini

Alimenti alternativi per l’allevamento dei suini

1963
0

Il contesto mondiale delle attività agricole, e quindi anche di quelle più specificamente attive nei cicli di produzione zootecnici, è interessato da una serie di mutamenti che ne comporteranno effetti significativi di ordine strutturale. Il concetto di sostenibilità degli allevamenti delle specie animali di interesse zootecnico assume rilevanza essenziale sotto i profili economico e sociale ma è l’aspetto ambientale quello che porta a considerare l’impatto delle azioni odierne sul “conto ambientale” attuale e delle generazioni future. L’aumento della popolazione mondiale e gli scenari futuri pongono in rilievo la domanda sulla capacità del pianeta di assecondare le richieste alimentari della popolazione in contesti sostenibili. Rispetto all’attuale impiego delle derrate vegetali ottenute dalle coltivazioni e utilizzabili per l’alimentazione umana, recenti studi (Cassidy et al., 2013) indicano come circa il 55% delle calorie ottenute siano usate per l’alimentazione umana, mentre circa il 36% di queste calorie sia impiegato per l’alimentazione degli animali. Per quanto attiene alla produzione mondiale di proteine ottenute dalle coltivazioni, la ripartizione d’uso è quantificata, dallo stesso studio, in circa il 40% per l’alimentazione umana e oltre la metà (circa 53%) per l’alimentazione degli animali d’allevamento. Un bilancio proteico globale, basato sui dati riportati dal modello GLEAM della Fao (http://www.fao.org/gleam/results/en/) stima che dei 6 miliardi di tonnellate di sostanza secca consumate dagli animali, l’84% non è edibile per l’uomo. 

L’allevamento dei suini ha connotazioni che lo rendono particolarmente critico quando si valuta il suo impatto in termini di efficienza nel convertire gli alimenti zootecnici in alimenti per l’uomo (carne). Il punto critico di questo trasferimento nella catena trofica è fondamentalmente dovuto al consueto impiego, per l’alimentazione dei suini, di granaglie che sono già materie prime valide per essere impiegate nell’alimentazione umana.

Uno studio, riferito agli Stati Uniti, recentemente pubblicato da Mekonnen et al. (2019), stima che i suini siano la specie che maggiormente utilizza granaglie (80%) e farine di estrazione (16%) per l’alimentazione (solo il 4% è rappresentato da sottoprodotti), in confronto con i bovini da carne il cui ricorso a questi alimenti supera di poco il 10%, con un ulteriore 10% di coprodotti e il resto rappresentato da foraggi. Ciò comporta che l’indice di conversione proteine vegetali edibili dall’uomo/proteine animali per il consumo umano, sia il peggiore per il suino, seguito da uova, tacchino, pollo, latte e carne bovina.

Negli allevamenti suinicoli di tipo intensivo (elevato livello di input) la via per rendere massima la sostenibilità è individuata nel raggiungere il livello massimo di efficienza nel processo per ottenere la massima quantità possibile di output. In questa prospettiva, ci si è mossi negli ultimi decenni selezionando i tipi genetici di suini funzionali a questo obiettivo, e lavorando sulle componenti di gestione che assecondano questa potenzialità sia in termini di condizioni di allevamento che di qualità degli alimenti. Pertanto, abbiamo oggi disponibili tipi genetici straordinariamente efficienti, se allevati in condizioni ambientali ottimali, nel convertire in peso vivo gli alimenti a elevato contenuto di nutrienti. I valori attuali di conversione alimentare dei lattoni (maschi castrati e femmine) fino ai circa 115-120 kg è di circa 2,6 -2,4 (kg di mangime/ kg di peso vivo) mentre nel caso di suini maschi interi o immunocastrati per la produzione di un kg di peso vivo sono necessari circa 2,3 kg di mangime (Van Den Broeke et al., 2020). Considerato che per questa categoria di suini si ottengono circa 90 kg di carcassa e dalla sua lavorazione si ottengono circa 38 kg di magro e 31 kg di tessuti grassi edibili (Swensen et al., 1998). Pertanto, per la produzione di 1 kg di carne (magro+grasso) realmente consumabile è necessario impiegare dai 3,2 ai 3,5 kg di mangime. 

Chiaramente se questi quantitativi di mangime sono ottenuti da derrate coltivate e impiegabili direttamente anche per l’alimentazione umana risulta piuttosto evidente come l’allevamento dei suini possa essere facilmente inquadrato come controproducente rispetto all‘esigenza di disporre di alimenti per la popolazione umana che si stima raggiunga i 9,7 miliardi nel 2050. Da qui, la crescente preoccupazione sulle conseguenze che derivano dall’impiego dei terreni coltivabili per colture che producono derrate utili per l’alimentazione umana, come i cereali, per impiegarle come componenti per mangimi.

Una connotazione alquanto differente è possibile se si considera di alimentare il bestiame impiegando coprodotti dei cicli di produzione di alimenti, scarti alimentari e derrate provenienti da terreni marginali per contribuire all’approvvigionamento di nutrienti per la popolazione umana in maniera più sostenibile e più efficiente in termini di numero di persone che possono essere nutrite per unità di superficie impiegata.

Tuttavia, questa ipotesi presenta diversi aspetti critici fondamentalmente riconducili alle prestazioni produttive inferiori degli animali come conseguenza dell’impiego di alimenti zootecnici qualitativamente inferiori, ma anche dai maggiori costi di produzione derivanti dalla riorganizzazione delle catene di approvvigionamento dei componenti per i mangimi e dalla necessità di intervenire per rendere utilizzabili questi alimenti nei cicli di produzione di mangimificio.

La prospettiva di una crescente propensione all’impiego di mangimi per suini a minore contenuto sia di nutrienti che di tecnologia, espone il sistema produttivo alle conseguenze prevedibili di ulteriore penalizzazione che ne deriverebbe dall’impiego dei moderni tipi genetici altamente selezionati per dare prestazioni produttive di massimo livello quando gestiti ed alimentati in condizioni ottimali. Infatti, come già evidenziato per le bovine da latte selezionate in Nuova Zelanda per l’ottenimento di elevate produzioni al pascolo, anche per i suini è stata osservata una forte interazione fra il tipo genetico di appartenenza (i.e. il livello di selezione per prestazioni produttive in condizioni di elevato impiego di input) e la qualità delle razioni impiegate (i.e. qualità e quantità di nutrienti). Questo comporta che siano osservabili (Brandt et al., 2010; Mauch et al., 2018; Rauw et al., 2019) prestazioni produttive inferiori in suini altamente selezionati rispetto a quelli più “rustici” quando vengono impiegate razioni qualitativamente non ottimali o quando l’ambiente di allevamento non è perfettamente confacente alle esigenze degli animali (e.g. temperature superiori a quelle di confort termico). Pertanto, la produzione di carne suina in sistemi a minore apporto di input necessita di animali con caratteristiche genetiche diverse da quelle perseguite per l’allevamento intensivo in quanto la loro selezione dovrebbe esaltare la capacità ed efficienza produttiva in condizioni ambientali e di alimentazione non ottimali. Da questa constatazione ne deriva anche che i costi per l’ottenimento dell’unità di prodotto (kg di carne) saranno verosimilmente superiori rispetto a quelli dell’allevamento intensivo, a elevato impiego di input esterni, e quindi si pone il problema delle opportunità di approvvigionamento per i consumatori. Infatti, in questo caso i rapporti di conversione alimentare saranno certamente meno favorevoli di quelli innanzi riportati per gli allevamenti a elevata efficienza per cui sarà necessario disporre di quantità significativamente importanti di coprodotti e/o scarti di alimenti da reperire localmente.

La generazione di rifiuti/scarti alimentari interessa le diverse fasi della catena di approvvigionamento alimentare, a partire dalla produzione, seguita da trasporto, movimentazione, stoccaggio, lavorazione, imballaggio, distribuzione, marketing, consumo e post consumo. Nei Paesi occidentali si stima che questi scarti possano essere pari a circa il 40% della produzione iniziale (Gunders et al., 2017). È piuttosto evidente che questi scarti alimentari siano di fatto piuttosto eterogenei per caratteristiche fisiche oltre che di composizione e questo comporta la valutazione accurata sulle modalità di introduzione nelle filiere mangimistiche. Fung et al. (2019a) con la formulazione di razioni includenti le diverse categorie di scarti alimentari hanno dimostrato che, anche a fronte dei diversi apporti in valore energetico e proteico, oltre che di digeribilità, si tratta comunque di ingredienti che possono essere vantaggiosamente inclusi nei piani alimentari dei suini. Lo stesso gruppo di ricercatori (Fung et al., 2019b) ha quantificato il contenuto di nutrienti di diversi tipi di scarti alimentari da cui si può dedurre che in una tonnellata di sostanza secca ottenuta dalla raccolta urbana dei rifiuti organici, risiede il contenuto di energia digeribile sufficiente per il fabbisogno (900 Mcal) di 3,8 suini nell’accrescimento da 25 a 120 kg di peso vivo e per le esigenze proteiche (60 kg) di 3 suini nelle medesime condizioni.

In conclusione, l’impiego di alimenti non edibili per l’uomo nelle filiere suine rappresenta uno degli scenari desiderabili, anche alla luce degli obiettivi della Strategia Farm to Fork della Commissione Europea. Tuttavia, l’implementazione di questo scenario nei sistemi di produzione suina europei e italiano in particolare, necessità di scelte precise sia da parte dei produttori, con l’orientamento della selezione verso tipi genetici adatti a valorizzare razioni meno concentrate in energia e nutrienti, sia da parte delle industrie mangimistiche per i noti problemi di logistica degli approvvigionamenti e della variabilità delle quantità e qualità disponibili di coprodotti su vasta scala.

Bibliografia

Brandt H., Werner D.N., Baulain U., Brade W., Weissmann F. 2010. Genotype-environment interactions for growth and carcass traits in different pig breeds kept under conventional and organic production systems. Animal, 4:535–544.  https://doi.org/10.1017/S1751731109991509

Cassidy E.S., West P.C., Gerber J.S., Foley J.A. 2013. Redefining agricultural yields: from tonnes to people nourished per hectare. Environmental Research Letters, 8:034015. https://doi.org/10.1088/1748-9326/8/3/034015

FAO 2020. Global Livestock Environmental Assessment Model (GLEAM). GLEAM 2.0 – Assessment of greenhouse gas emissions and mitigation potential. Available at: http://www.fao.org/gleam/results/en/

Fung L., Urriola P.E., Shurson G.C. 2019a.  Energy, amino acid, and phosphorus digestibility and energy prediction of thermally processed food waste sources for swine. Translational Animal Science, 3:676–691. https://doi.org/10.1093/tas/txz028

Fung, L., Urriola P.E., Baker L., Shurson G.C. 2019b. Estimated energy and nutrient composition of difference sources of food waste and their potential use in sustainable swine feeding programs. Translational Animal Science, 3:143–152. https://doi.org/10.1093/tas/txy099

Gunders D., Bloom J., Berkenkamp J., Hoover D., Spacht A., Mourad M.  2017. Wasted: How America is losing up to 40% of its food from farm to fork to landfill. 2nd ed. New York, NY; Natural Resources Defense Council; 2017. R: 17-05-A.

Mauch E.D., Young J.M., Serão N.V.L., Hsu W.L., Patience J.F., Kerr B.J., Weber T.E., Gabler N.K., Dekkers J.C.M. 2018. Effect of lower-energy, higher-fiber diets on pigs divergently selected for residual feed intake when fed higher-energy, lower fiber diets. Journal of Animal Science, 96:1221–1236. https://doi.org/10.1093/jas/sky065

Mekonnen M.M., Nealea C.M.U., Rayb C., Ericksonc G.E., Hoekstra A.Y. 2019. Water productivity in meat and milk production in the US from 1960 to 2016. Environment International, 132:105084. https://doi.org/10.1016/j.envint.2019.105084

Rauw W.M., García Cortés L.A., Gómez Carballar F., Garcia Casco J.M., de la Serna Fito E., Gomez-Raya L. 2019. Feed efficiency × diet interaction on acorns vs. a commercial diet in Iberian pigs. 70th Annual Meeting of the European Federation of Animal Science (EAAP), Ghent, Belgium.

Swensen K., Ellis M., Brewer M.S., Novakofski J., McKeith F.K. 1998. Pork carcass composition: I. Interrelationships of compositional end points. Journal of Animal Science, 76:2399-2404. https://doi.org/10.2527/1998.7692399x

Van Den Broeke A., Leen F., Aluwé M., Van Meensel J., Millet S. 2020. The effect of sex and slaughter weight on performance, carcass quality and gross margin, assessed on three commercial pig farms. Animal, 14:1546-1554. https://doi.org/10.1017/S1751731119003033

Foto: Pixabay

Gianni Battacone, Mondina Lunesu, Giuseppe Pulina * Dipartimento di Agraria, Università degli Studi di Sassari