di Andrea Spinelli Barrile, redazione
Il Bitto DOP è uno dei formaggi più caratteristici della tradizione culturale della Valtellina: è buono mangiato da solo, riuscendo a sublimare nel divino nei mitici pizzoccheri. La verità è che Bitto DOP piace in ogni forma e rappresenta, con la sua piccola produzione, la chiave dello scrigno della tradizione culinaria valtellinese: Marco Deghi, presidente del Consorzio di Tutela dei Formaggi Valtellina Casera e Bitto, può spiegarci qual è il mercato di riferimento?
Il Bitto è un formaggio a latte crudo intero prodotto nei soli mesi estivi da giugno a settembre sugli alpeggi della provincia di Sondrio e di alcune aree limitrofe nelle province di Bergamo e Lecco.
Le forme marchiate a fuoco di Bitto, quindi commercializzate nel circuito della DOP, sono state nel 2023 poco più di dodicimila, per la precisione 12147, valori in linea anche per il 2024. Il prodotto è pressoché interamente commercializzato sul territorio nazionale, con sporadiche esportazioni sui mercati limitrofi, e il mercato di riferimento è Milano e il Nord Lombardia, ma è possibile trovarlo in negozi ad alta specializzazione in buona parte d’Italia. La clientela è composta da una fascia medio e alta, esperti conoscitori di formaggi, appassionati di prodotti ricercati e di lunghe stagionature.
Facciamo chiarezza, perché il panorama è piuttosto vasto e i consumatori possono non avere chiari alcuni dettagli: vogliamo raccontare la differenza tra Bitto e Valtellina Casera?
Legati dalla tradizione dell’allevamento del bestiame nell’arco alpino, Bitto DOP e Valtellina Casera DOP sono due formaggi espressione della Valtellina più autentica e delle sue tradizioni. Se il Bitto deriva dalla tradizione celtica di sfruttare i pascoli naturali d’estate e di trasformare il latte vaccino appena munto in formaggi a lunga conservazione con la tradizionale lavorazione nei calècc’, piccole capanne casearie distribuite sui pascoli, l’origine del Valtellina Casera è invece legata alle numerose latterie di paese della provincia di Sondrio che raccoglievano il latte di più produttori e delle vacche discese a fondovalle per lavorarlo dall’autunno alla primavera inoltrata.
Fu proprio quest’alternanza del sistema di allevamento tipico delle regioni alpine – pascoli d’alta quota in estate e discesa nelle stalle di fondovalle con utilizzo di foraggi affienati per il resto dell’anno – a dare origine alla produzione alternata di queste due diverse tipologie di prodotto: un formaggio grasso da alpeggio estivo, il Bitto, e un formaggio semigrasso di latteria prodotto principalmente in inverno, il Valtellina Casera.
La produzione di Bitto DOP ha risentito della crisi delle materie prime? Cosa fa il Consorzio per tutelare e sostenere i suoi produttori, ad esempio sul tema della concorrenza sleale?
La produzione di Bitto DOP ha risentito in misura del tutto marginale dell’aumento dei costi delle materie prime, in quanto la materia prima di cui si nutrono le vacche è l’erba del pascolo, eventualmente integrato di massimo 3 Kg/giorno di alimento secco. L’aumento del prezzo medio di vendita ha contribuito a mantenere a sostenere il reddito dei produttori e a evitare la diminuzione della produzione.
Il Consorzio di tutela ha tra i suoi compiti quello di effettuare un controllo sul mercato, effettuando, tramite un agente vigilatore, i controlli presso punti di vendita e ristorazione. Il riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta è stata determinante per valorizzare definitivamente il prodotto e per distinguerlo dalle imitazioni del tempo.
Come fa il Consorzio a integrare tecnologia e naturalità del prodotto?
Con la revisione del 2008 del Disciplinare, al fine di mantenere il corretto livello di benessere animale è consentita per le lattifere un’integrazione dell’alimentazione da pascolo fissata nei limiti massimi di kg 3 di sostanza secca al giorno, con i seguenti alimenti: mais, orzo, frumento, soia, melasso nella quantità non superiore al 3%. Inoltre è ammessa l’aggiunta di fermenti lattici autoctoni selezionati. Per il resto la pratica d’alpeggio e di produzione segue la tradizione secolare della transumanza.
Come è cambiato il lavoro degli operatori del Consorzio, con la necessaria integrazione di innovazione e tecnologie?
Il Consorzio, da diversi anni, ha coinvolto un tecnico che offre assistenza tecnica nella fase di produzione e prima stagionatura del formaggio già in alpeggio. Non bisogna dimenticare che ogni forma, prima di diventare Bitto DOP, deve passare il severo esame del tecnico marchiatore che, in aggiunta, offre assistenza e supporto ai 50 produttori per conto del Consorzio Tutela.
Quali sono le caratteristiche principali che fanno del Bitto un prodotto unico e inimitabile?
Le caratteristiche variano in base alla sua stagionatura: il Bitto giovane ha pasta semidura dal colore bianco tendente al paglierino, compatta, con occhiatura diffusa e puntini bianchi. La crosta è sottile e gialla e ha un gusto delicato e dolce. Il Bitto stagionato ha pasta dura e friabile dal colore paglierino tendente al giallo. Ha un gusto intenso e via via più piccante in base al periodo di stagionatura.
Quali sono i nuovi usi in cucina di questo prodotto straordinario? E quali le sue caratteristiche?
Il Bitto DOP è un’eccellenza italiana in quanto è un formaggio unico, prodotto solo in alpeggio con il latte raccolto e lavorato immediatamente da casari che operano in condizioni non sempre agevoli, creando un prodotto con una connotazione artigianale, con note sensoriali e visive fortemente riconoscibili. Il Bitto è buono in purezza oppure abbinato a insalate e panini golosi. Nelle ricette viene spesso sciolto nel latte creando creme profumate o ripieni golosi per crespelle e cannelloni. Il risotto al Bitto e bresaola è un’esperienza ricca di gusto e sapidità; infine il Bitto è perfetto anche da stuzzicare durante l’aperitivo.