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Carne suina: dal prosciutto cotto ai prodotti conservabili, come sono cambiate le abitudini degli italiani

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Agli italiani piace la carne di suino, tanto da occupare ben il 43% del carrello della spesa. Più della carne fresca che si attesta al 15% del totale, sono i salumi al 28% ad avere la fetta più grossa della torta. E anche se il Covid-19 ha messo a dura prova l’intera filiera, gli acquisti domestici e i prodotti conservabili hanno mitigato le perdite.

Nel quinquennio 2015-2019, il prosciutto cotto resta il salume più acquistato (23% dello share in valore) e il prodotto che nel quinquennio ha avuto la migliore tenuta rispetto alla crisi, perdendo solo lo 0,7% a fronte del -17% dei wurstel, del -8,7% dei prosciutti crudi e del -10,3% della mortadella. Anche i salami, che rappresentano l’11% della spesa, hanno mostrato una buona tenuta nei consumi risultando stabili nel quinquennio. Il supermercato resta nel tempo il punto vendita preferito per gli acquisti di carne suina e salumi; gli ipermercati perdono posizioni (-5,4% negli ultimi cinque anni), ma sono il luogo dove viene venduto più di un quinto dei salumi; il discount raggiunge un ruolo molto importante con una quota del 27% a scapito delle piccole superfici di prossimità (libero servizio -18,4% e negozi tradizionali -17,3%).

Differenze territoriali
Il Nord Est è l’area che mostra maggior debolezza nei confronti delle carni suine, nel quinquennio mostra infatti la maggiore flessione delle vendite (-7,4%) e l’indice di penetrazione, ossia la percentuale di famiglie acquirenti rispetto all’universo, pur rimanendo il più elevato a livello nazionale (82,9%) perde rispetto al 2015 oltre 2 punti percentuali. La frequenza degli acquisti nel quinquennio si è ridotta del 9%.

Il Nord Ovest si distingue per un indice di penetrazione inferiore a quello delle altre aree, solo il 78,3. È al contempo l’area in cui i parametri che caratterizzano gli acquisti sono più stabili: i volumi nel quinquennio hanno un lieve incremento (0,7%), e resta stabile il numero di famiglie acquirenti.

Al Centro i consumi registrano riduzioni soprattutto nel 2019, quando perdono il 4,7% in valore sull’anno precedente, facendo attestare la variazione rispetto al 2015 al -3,2%. È la macro area dove risulta più frequente il ricorso all’acquisto in promozione (65%) e ha una penetrazione piuttosto stabile (perde solo l’1,2% in cinque anni).

Il Sud si caratterizza per il più importante volume consumato rispetto alle altre aree, per la maggior frequenza degli atti di acquisto (il 25% in più rispetto alle altre aree) e per la maggior stabilità del numero di atti di acquisto, per il minor ricorso agi acquisti in promo (solo il 49% contro il 65% del Centro; -10% rispetto al 2015).

L’impatto Covid-19 sui consumi nel 2020
Il Covid-19 ha avuto un profondo impatto sulla filiera suinicola italiana. La chiusura del canale Horeca ha ridotto di circa il 20% le vendite rivolte a bar e ristoranti rimasti chiusi, penalizzando principalmente prodotti ad alto valore aggiunto. Tuttavia, nei primi nove mesi del 2020 è risultata una crescita degli acquisiti domestici sia di carni (+5,8% in volume) che di salumi (+4,6% in volume). Non si è trattato però di un reale aumento dei consumi in assoluto. Si è assistito invece all’effetto “travaso” dai consumi “fuori casa” a quelli “in casa”, che di fatto non hanno compensato le perdite registrate nella ristorazione.

La domanda domestica per le carni suine fresche ha registrato infatti, nei mesi da marzo a luglio, una vera impennata: nel solo mese di maggio la crescita su base annua per le carni suine fresche è stata del 18% in volume (+29% in termini di spesa). Nel complesso la performance delle carni suine registrata nel periodo gennaio-settembre 2020 rientra nella media del comparto carni in generale (+5,8% a fronte di un del 5,6% in volume). Dal punto di vista della spesa, si registra uno dei migliori risultati degli ultimi anni con un +13,8% delle carni suine contro il +8,6% delle carni totali. Tale recupero, seppur importante, è ancora insufficiente a riportare i consumi sui livelli “pre-crisi” del 2015, rispetto al quale il gap rimarrebbe del -3,8%.

Riguardo gli acquisti dei salumi gli incrementi sono meno accentuati e soprattutto concentrati nei soli tre mesi di lockdown. Ad inizio marzo, si è registrata una crescita dei volumi acquistati che in aprile ha toccato punte del 12%. Da giugno però, il ritorno alla normalità ha subito ridimensionato l’interesse e nei mesi di luglio e agosto gli acquisti sono risultati in contrazione rispetto agli analoghi mesi dello scorso anno (-1% e-2%). Nel complesso i consumi domestici di salumi segnano un recupero del 3,4% nei primi nove mesi del 2020 che potrebbe però ridursi a consuntivo di fine anno, considerato che, dopo il picco di maggio, i consumi si sono di nuovo riportati su livelli nella norma, contraendosi nei mesi estivi. Le proiezioni per il 2020 in termini di spesa ottenuti applicando gli attuali trend al dato parziale vedrebbero la spesa al consumo per i prodotti della filiera suina in espansione rispetto al 2015 del 9,5% per la carne e dell’8,4% per i salumi.

Sempre nel periodo di lockdown la tendenza all’approvvigionamento di prodotti conservabili per creare stock casalinghi, per il settore suinicolo si è tradotto in un forte aumento delle vendite dei salumi in vaschetta, a “peso imposto” nella GDO a scapito del segmento del “peso variabile” (affettati al banco del fresco) che è risultato in difficoltà. La domanda di salumi ha registrato un incremento di interesse tale da spingere i trasformatori a rivedere il loro assortimento e a prevedere per il futuro una quota maggiore di prodotti da distribuire in modalità “pre-affettati”. Interessante notare che a settembre 2020 la quota in volume di salumi confezionati è arrivata a superare quella dello sfuso, raggiungendo una quota pari al 58% dell’intero comparto. Dal punto di vista dei canali di vendita, nel 2020 gli italiano hanno preferito i piccoli supermercati di prossimità che hanno recuperato il 17,9% delle vendite sull’anno precedente a discapito delle grandissime superfici (Iper), in perdita del 2,3% sul 2019.

I danni della cattiva pubblicità
Nel quinquennio 2015-2019, tutte le tipologie di carni hanno segnato flessioni degli acquisti domestici (-5,1% in volume), ma le carni suine fresche sono quelle che più delle altre hanno evidenziato una contrazione (-9,1% in volume) frutto delle forti perdite registrate nel 2016 (-4,3%) a seguito del comunicato OMS sul legame tra tumori e carni rosse e delle perdite importanti del 2019 (-4,5%) dovute al rialzo dei prezzi conseguente alle minor disponibilità in ambito mondiale a causa della peste suina. Per quanto riguarda i salumi, nonostante la perdita in volume del 4% nel quinquennio 2015-2019, si è registrato un recupero dell’1% in termini di spesa, ottenuto grazie a una continua crescita dei prezzi medi, da ascriversi all’aumento della quota del prodotto confezionato rispetto a quella dei salumi sfusi. Prevalentemente, sono state le famiglie ad alto reddito e i giovani ad allontanarsi dal consumo di carne suina. In particolare, nel 2015 l’annuncio dell’OMS ha duramente colpito la categoria delle carni rosse e dei salumi lasciando effetti negativi ancora oggi tangibili sui consumi. I giovani, inoltre, sono maggiormente influenzati dai cambiamenti degli stili di vita e tendono a preferire prodotti più leggeri, con più contenuti innovativi, con più informazioni positive annesse e in linea con le moderne diete.

Foto: © nolonely_Fotolia