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Etichette obbligatorie per gli alimenti Ogm: siamo sicuri che sia una buona idea?

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Nascono con l’intento di fare chiarezza e di dare informazioni più dettagliate ai consumatori, ma in realtà le etichette obbligatorie per gli alimenti geneticamente modificati potrebbero rivelarsi un’arma a doppio taglio, complicando il già accesissimo dibattito sulla presunta non salubrità degli alimenti prodotti con tecniche di ingegneria genetica. La questione è di attualità negli Stati Uniti: mentre il Connecticut e il Maine sono risultati essere, lo scorso giugno, i primi Stati a rendere obbligatoria questa tipologia di etichette, in California invece la normativa “Proposition 37”, nota anche come “Right to know”, non è stata approvata (i “no” sono stati il 51,4%). Gli elettori della California hanno respinto il referendum sull’etichettatura dei cibi geneticamente modificati nonostante i sondaggi pre-voto vedessero un consenso del 60%. Sull’esito della votazione potrebbe aver influito la campagna promozionale di alcune società alimentari, secondo cui l’etichettatura obbligatoria per i prodotti Ogm avrebbe aumentato la confusione nei consumatori, facendo aumentare i prezzi all’ingrosso.


Il passato insegna che questa tipologia di etichette ha dato vita negli anni scorsi a effetti collaterali non trascurabili. Nel 1997, anno di crescente opposizione agli Ogm in Europa, l’Unione Europea iniziò ad imporre questo tipo di etichettatura. Due anni dopo, nel 1999, per evitare che questo tipo di etichette portasse via gran parte dei consumatori, molti brand europei iniziarono a rimuovere la presenza degli ingredienti geneticamente modificati dai prodotti recanti il loro marchio. E il rischio è che la situazione potrebbe ripetersi, ripercuotendosi negativamente sui consumi dell’industria alimentare e peggiorando ulteriormente la posizione, già complessa, in cui attualmente si trovano le colture biotech.

 

La questione è complessa. I sostenitori di questo tipo di etichettatura affermano che rendere obbligatorie le etichette recanti la presenza di ingredienti geneticamente modificati all’interno della confezione significa dare ai consumatori la possibilità di scegliere con consapevolezza di cosa cibarsi. I detrattori di questo tipo di etichettatura spiegano invece che esplicitare la presenza di ingredienti provenienti da colture biotech all’interno dei prodotti alimentari non farebbe altro che aumentare la confusione nei consumatori. Spiegano che l’American Association for the Advancement of Science, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Unione europea sono concordi sul fatto che gli Ogm sono salutari e sicuri esattamente alla pari dei prodotti non-Gm: rispetto alle tecniche di agricoltura tradizionali che, da sempre, scambiano pezzi di Dna tra una pianta e l’altra al fine di ottenere piante più resistenti al caldo o al freddo, oppure che maturino prima o che siano più resistenti alla siccità, l’ingegneria genetica è molto più accurata e precisa e, nella maggior parte dei casi, è meno probabile che produca risultati inaspettati rispetto a quanto non accada, invece, con l’agricoltura tradizionale. La Food and Drug Administration ha più volte testato gli alimenti Ogm determinando che, ad esempio, non sono tossici e non scatenano più allergie dei loro omologhi prodotti con colture tradizionali. Infine, i detrattori di questo tipo di etichettatura affermano che coloro che temono di cibarsi con alimenti Ogm possono sempre cercare i prodotti con l’etichetta “100% organico”, che indica la totale assenza di prodotti Gm all’interno della confezione.

 

Foto: Pixabay

Miriam Cesta