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Gli Ogm, l’agricoltura e lo stallo dell’Europa

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Solo l’impiego di tutte le conoscenze scientifiche a disposizione consentirà all’agricoltura di raggiungere gli obiettivi di sostenibilità ambientale, sociale ed economica necessari per garantire la sopravvivenza di una popolazione mondiale che entro il 2050 è attesa raggiungere quota 9 milioni di individui. In questo contesto, le biotecnologie agricole possono fornire un contributo fondamentale.

È questa la conclusione cui sono giunti gli esperti che si sono riuniti a Santarém, in Portogallo, per partecipare al III Meeting “Biotechnology and Agriculture: The Future is Now”. L’incontro è stato un’occasione per fare il punto della situazione sull’impiego globale di piante geneticamente modificate (pgm) in agricoltura, sui costi e sui benefici economici delle biotecnologie agricole, con un occhio più attento nei confronti dell’Europa.

 


Ne è emerso che a trent’anni dalla dimostrazione che è  possibile modificare il patrimonio genetico delle piante sono 17,3 milioni gli agricoltori che utilizzano varietà migliorate grazie alle biotecnologie e 170 milioni gli ettari coltivati a pgm, corrispondenti al 10% circa delle terre arabili in tutto il mondo.
Nella sola Europa più di 400 gruppi di ricerca hanno investito 300 milioni di euro nello studio della sicurezza di queste varietà, confermando che sono addirittura più sicure di quelle tradizionali e che non portano con loro rischi superiori rispetto alle piante migliorate attraverso altre metodologie, nemmeno per quanto riguarda la salute pubblica. A dimostrarlo è il consumo totale di 3 miliardi di pasti a base di prodotti ottenuti da queste varietà, che non ha avuto nessun effetto collaterale. Allo stesso modo, non sono state registrate segnalazioni di effetti negativi sulla salute degli animali alimentati con materie prime derivate dalle coltivazioni geneticamente modificate.


 
Nel corso di questi trent’anni gli scienziati hanno utilizzato le biotecnologie per cercare una soluzione a problemi agronomici, ambientali e alimentari e la ricerca non si è fermata nemmeno sulla strada della messa a punto di nuove metodiche per modificare il Dna delle piante. Per questo al momento ci sono diverse pgm che non aspettano altro che essere testate per verificare le loro potenzialità.
Non sembra, però, che l’Europa sia intenzionata ad offrire loro questa opportunità. La Comunità Europea si trova, infatti, in una sorta di stallo politico che impedisce di prendere una decisione sull’uso di questi prodotti. Il ritardo potrebbe essere quantificato in cinquant’anni di decisioni mancate sull’approvazione di prodotti, che hanno influenzato l’economia europea. Le stime parlano di più di 9,6 miliardi di euro di spese non necessarie sostenute proprio a causa di questa situazione e di 443 milioni di euro in guadagni parsi da parte degli agricoltori europei.
Questa incapacità decisionale ha ridotto anche il numero di sperimentazioni nei campi europei, nonostante le nuove proposte interessanti del settore delle agrobiotecnologie, come quelle che potrebbero migliorare l’assorbimento del fosforo da parte dei ruminanti e ridurre sia l’impatto ambientale della sua escrezione sia il suo accumulo nel terreno, oppure quelle che aumentano i livelli di omega 3 nella soia e nella colza per migliorare il valore nutrizionale dell’olio ottenuto da queste piante.


 
Secondo gli esperti, rimanendo in questa situazione l’Unione Europea non sta solo mettendo in pericolo la sua economia, impedendo agli agricoltori di trarre vantaggio da queste innovazioni e obbligandoli a competere da una posizione svantaggiata con gli agricoltori di altri paesi, ma sta anche limitando l’uso di tali tecnologie in nazioni di altri continenti, come l’Africa.
In Europa è il Framer-Scientist Network a prendere a cuore il punto di vista non solo della scienza, ma anche degli agricoltori, che secondo gli esperti “hanno il diritto di scegliere le varietà che consentono loro di capitalizzare le loro aziende, garantendo loro riduzioni nei costi di produzione e la massimizzazione delle rese”.

 Foto: Pixabay

Silvia Soligon