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La zootecnia intensiva a sostegno della riduzione dell’impatto ambientale

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Recentemente il sistema zootecnico nazionale è stato accusato di essere il principale responsabile delle emissioni di gas serra. Un attacco gratuito e poco circostanziato.

Sicuramente la tematica ambientale è divenuta di estrema attualità, occupando un posto di rilievo sia a livello istituzionale che nelle strategie pubblicitarie delle grandi aziende.

 

Per il comparto alimentare parlare di impatto ambientale e soprattutto di emissioni di gas serra rappresenta una novità che ci trova, impegnati come eravamo sul fronte sicurezza alimentare, un po’ neofiti. Superato un primo momento di disorientamento dettato dalla numerosità delle informazioni da cui attingere, l’argomento ha un suo fascino considerate le interessanti opportunità in questo ambito.

 

Ma ritorniamo un attimo all’analisi della situazione. Innanzitutto credo fondamentale rilevare che non vi è ancora uniformità di vedute su quella che deve essere la metodologia da adottare, a partire dalla raccolta dei dati sino al sistema di calcolo per determinare la cosiddetta “impronta di CO2” dei diversi comparti coinvolti. Questa diversità dei metodi utilizzati porta a dati incerti e confusi, che si possono prestare ad esser strumentalizzati da parte di alcuni settori.

 

Per fare solo un paio di esempi la FAO nel rapporto Livestock’s Long Shadow (2006) ha utilizzato un sistema di calcolo che ha stimato nell’ambito della filiera zootecnica tutte le emissioni ad esso correlate, includendovi anche quelle che, sulla base dell’IPPC (Intergovernamental Panel on Climate Change), vengono attribuite all’energia, all’industria ed al trasporto. Nel 2010 la FAO nel rapporto relativo al settore lattiero caseario (Greeenhouse Gas Emission from the Dairy Sector – A life Cycle Assesment) ha ritenuto più corretto adottare un sistema di valutazione più completo che permettesse di analizzare sistematicamente i diversi settori ed ha quindi basato il nuovo studio, e così farà con quelli futuri, sulla Valutazione del Ciclo di Vita – Life Cycle Assesment LCA – metodologia ampiamente utilizzata non solo in agricoltura e che si basa sulla norma ISO 14040 e 14044, riprese dal British Standards Institute con il PAS 2050.

Questo cambio adottato dalla FAO non risolve il dibattito sulla metodologia da applicare, infatti a livello internazionale vi sono due importanti protocolli in fase di definizione: l’uno per definire il LCA e l’altro per definire la nuova norma ISO 14067 sviluppata appositamente per quantificare le emissioni di gas serra dei diversi comparti produttivi e per stabilirne le regole di comunicazione.

A ciò si aggiunga che la maggior parte dei sistemi attualmente adottati per permettere l’etichettatura ambientale sui prodotti finiti sono stati sviluppati da grosse aziende del sistema agroalimentare o dalla grande distribuzione (es. Leclerc, Sainsbury, Tesco).

 

Pertanto, in attesa che si trovi condivisione su una metodologia di calcolo da adottare che rispetti tutti i settori senza cercare di addossare le emissioni di un comparto ad un altro, può essere utile riportare alcuni dati europei e nazionali.

 

A livello europeo l’Agenzia Europea per l’Ambiente raccoglie annualmente i dati forniti dai singoli Stati Membri e prepara un Inventario delle emissioni dei gas serra, per l’Italia i dati sono raccolti ed elaborati dall’ISPRA (Istituto Sperimentale per la Ricerca Ambientale) che pubblica anche un inventario nazionale.

 

Nell’Europa a 15 l’agricoltura è responsabile del 9% delle emissioni di gas serra ripartiti in un 5% dovuto alle emissioni di CH4 e un 4% di NO2 (v. tabella).

 

 

Tabella: Emissioni di gas serra (GHG) a livello dell’Europa a 15

tipologia

% emissioni GHG 2007

Andamento 1990-2007

Variazione %

Contributo Italia

nel 2007

Agricoltura

9%

-11

 

 

dovute a CH4

5%

 

 

 

dovute a NO2

4 %

 

 

Fermentazione Enterica

 

 

 

 

da bovini

2,4%

-11

8,8

 

da altri ruminanti

0,4 %

-13

9,7

Gestione delle deiezioni

 

 

 

 

da bovini (CH4)

0,5%

-12

6,2

 

da suini (CH4)

0,6 %

+18

5,9

 

da gestione dei terreni (NO2)

0,5 %

-11

17,6

 

da altre fonti (NO2)

0,02 %

+23

30.7

Suolo coltivato (NO2)

4%

-15

 

 

Emissioni dirette

2,3%

-16

9,3

 

Pascolo

0,6 %

-11

6,2

 

Emissioni indirette

1,5 %

-17

12,4

 

Secondo i dati ISPRA per quanto riguarda il 2008, escludendo il LULUCF (Land Use and Land Use Change Forestry) il maggior contributo nell’emissione di gas serra è da attribuirsi al settore energetico of 83.6%, seguito dall’agricoltura 6,6%, dai processi industriali 6,3%, dalla gestione dei rifiuti 3,1% e dall’utilizzo di solventi 0,4%.

Rispetto agli anni 90 il contributo di emissioni di gas serra imputabili all’agricoltura è diminuito del 11,6%, soprattutto a causa di una riduzione dell’attività (minore superficie coltivata, minori capi allevati).

Il contributo della zootecnia è ascrivibile soprattutto all’emissione di metano dovute alla fermentazione enterica (ascrivibile principalmente ai ruminanti) ed alla fermentazione delle deiezioni.

 

A fronte di questi dati europei è fondamentale sottolineare che quel dato riportato nel 2006 dalla FAO secondo cui il sistema zootecnico mondiale è responsabile del 18 % delle emissioni, è costituito da un 13% dovuto al sistema di allevamento estensivo e solo un 5% dovuto al sistema di allevamento intensivo.

Di fatto i sistemi di allevamento intensivi permettono grazie a razioni bilanciate ed appositamente sudiate per ciascuna fase fisiologica degli animali e ad una migliore gestione dell’allevamento permette grazie alla riduzione del ciclo di produttivo ed all’aumento della produttività permette di ridurre l’impatto ambientale, con un evidente vantaggio sia a livello di food security che a livello ambientale.

 

Pubblicato: Aprile-Giugno 2010.

 

Foto: Pixabay

Lea Pallaroni