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Modelli e strategie alimentari per ridurre le emissioni del bovino da carne

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La quantità e la qualità dei foraggi e dei mangimi e il modo con cui sono somministrati agli animali può influenzare in misura molto significativa l’emissione di metano (CH4) enterico, derivante dalla fermentazione della fibra, che avviene in grandissima parte nel rumine. L’alimentazione influenza anche le emissioni di protossido di azoto (N2O), che provengono dalle deiezioni in stalla, nei depositi e dopo lo spargimento al terreno. L’N2O si genera a partire dai composti azotati presenti nelle feci e nelle urine, la cui concentrazione dipende, tra l’altro, dalla quantità di proteine somministrate all’animale e dall’efficienza con cui questo le riesce a trasformare in carne. È importante sottolineare che l’obiettivo non è ridurre in assoluto la quantità di gas ad effetto serra emessi bensì il loro rapporto con la produzione, ossia l’intensità di emissione, che nel caso della carne può essere espressa come kg di anidride carbonica (CO2) equivalente per kg di peso vivo, oppure kg di carne edibile o di proteina.

Sistema d’allevamento

Diversi studi del ciclo di vita (LCA) della carne bovina hanno messo in evidenza che il principale fattore che influenza l’impronta di carbonio, ossia la quantità di CO2 equivalente emessa per chilogrammo di carne prodotta, è il sistema di allevamento. La specializzazione ha determinato un incremento della produttività e, di conseguenza, una riduzione della intensità di emissione di gas ad effetto serra (Capper, 2011). Un aspetto che però deve sempre essere considerato è che i sistemi più specializzati sono spesso caratterizzati da carichi di bestiame più elevati rispetto ai sistemi d’allevamento meno specializzati e ciò può comportare un’emissione di nutrienti nell’ambiente che le colture e il suolo non riescono ad assorbire. Un altro elemento che può influenzare l’impronta di carbonio della carne è l’origine del vitello; quella basata sull’inseminazione di vacche di razza da latte con seme di riproduttori di razze da carne ha un’impronta più bassa rispetto a quella ottenuta con animali puri da carne. In questo caso infatti l’impronta di carbonio della madre è totalmente associata alla produzione della carne, mentre nel caso dell’incrocio l’impronta di carbonio della madre è in gran parte associata alla produzione del latte (van Selm et al., 2021). A proposito di LCA, gli allevamenti da carne specializzati acquistano grandi quantità di cereali, leguminose e sottoprodotti dell’industria agroalimentare. La scelta degli alimenti influenza non solo le emissioni di gas ad effetto serra dal tratto digerente, ma anche il peso degli alimenti acquistati sull’intera impronta di carbonio (van Zanten et al., 2013). Inoltre, l’introduzione di una quota di sottoprodotti riduce la competizione tra uomo e animali per gli alimenti edibili (Mosnier et al., 2021).

Strategie per mitigare l’emissione di metano enterico

L’alimentazione del bovino è fondamentale per avere buone prestazioni economiche e ambientali. è importantissimo che l‘alimentazione sia sana ed equilibrata, perché influisce sul benessere degli animali e sulla salute dell’uomo. Le diete impiegate negli allevamenti, grazie al supporto del personale tecnico specializzato, ormai sono ben formulate per soddisfare al meglio i fabbisogni nutritivi degli animali, in funzione della razza e dell’età, con l’obiettivo di massimizzare le prestazioni produttive e le rese. Oggi però nella formulazione delle razioni bisogna tener conto anche degli aspetti ambientali e uno degli obiettivi che ci si pone è quello di ridurre la produzione di gas ad effetto serra, senza penalizzare le prestazioni degli animali. Pertanto, i tecnici e gli allevatori quando formulano la razione sono chiamati a mettere in atto tutte le possibili azioni per ridurre le emissioni di questi gas, andando oltre la mera valutazione delle performance e dei costi di produzione. Le strategie alimentari che possono ridurre la produzione di CH4 enterico possono essere classificate in due categorie: 1. Miglioramento della qualità degli alimenti e modifica della dieta; 2. Utilizzo di sostanze che evitano o inibiscono la metanogenesi.

  • Miglioramento della qualità degli alimenti e modifica della dieta

L’elemento che più di ogni altro condiziona la quantità di CH4 prodotto nel rumine è l’ammontare di alimento ingerito. Tuttavia, il fattore di conversione dell’energia grezza in CH4 (Ym) può variare significativamente in base alla digeribilità dell’alimento; l’ISPRA (2008) ad esempio indica un Ym di 4% per razioni molto digeribili rispetto a 6 – 6,5% che è il valore medio di riferimento per le bovine da latte. Ciò significa che quando si somministrano diete con molti cereali, come nel caso dei bovini all’ingrasso, solo il 4% della energia contenuta negli alimenti si perde come CH4.

I foraggi sono gli ingredienti con la maggiore variabilità della composizione e quindi della digeribilità. Gli elementi che la condizionano sono la specie, la varietà, il sistema di conservazione e la maturità alla raccolta. La lignina si deposita con l’avanzamento della maturità rendendo meno digeribile la pianta. Anche la fibra aumenta e questa frazione influenza la digeribilità. È noto infatti che le piante più giovani hanno un contenuto maggiore di zuccheri solubili e sono meno soggette a perdite di CH4 con la digestione. Nella gestione della produzione foraggera, quindi, bisogna trovare un equilibrio tra maturità e produzione di biomassa per non penalizzare né le rese né le prestazioni ambientali.

La riduzione delle emissioni di CH4 da animali alimentati con diete a base di foraggio può essere ottenuta migliorandone la qualità. Nel caso dei prati, si possono ottimizzare i tempi di raccolta, si possono adottare sistemi raccolta e conservazione che preservino al massimo il contenuto di nutrienti digeribili, ricorrendo all’insilamento con trattamento chimico o enzimatico del prodotto o riducendo la lunghezza di taglio del foraggio. Nel caso del pascolo, la gestione può essere migliorata ricorrendo, ad esempio alla rotazione, che permette di aumentare la disponibilità d’erba e di migliorane la qualità (O’Brien et. al., 2020).

La produzione di CH4 ruminale può essere influenzata anche dal rapporto tra foraggi e concentrati. In termini molto generali, diete con un rapporto tra foraggi e concentrati basso (35 – 40% di foraggi) determinano una minore produzione di CH4 perché sono più digeribili e perché le fermentazioni si orientano verso la produzione di propionato piuttosto che di acetato. Va detto però che la quota di foraggio non può andare al di sotto di certi limiti, per non determinare condizioni pericolose per l’animale, e che aggirandosi attorno ai rapporti di 50-60% le differenze nelle emissioni non sono molto evidenti. Questa problematica, nel caso del bovino all’ingrasso, è relativamente importante perché, specie nella fase di finissaggio, la razione prevede una quota di cereali già piuttosto elevata.

L’aumento della quota di concentrati si accompagna sovente ad un incremento dell’ingestione. Poiché i concentrati hanno una maggiore disponibilità di sostanza organica fermentescibile, i due elementi fanno sì che con l’aumento dei concentrati nella dieta si possa verificare un aumento della produzione di CH4. È però da ricordare che ciò che a noi interessa non è la produzione di CH4 totale, ma la quantità in riferimento alla produzione, per cui se all’aumento di CH4 corrisponde un aumento più che proporzionale della produzione l’obiettivo è sostanzialmente raggiunto.

Gli allevamenti estensivi sono spesso contraddistinti da diete molto fibrose e da bassi livelli produttivi, con il risultato che l’intensità di emissione è più alta. Questi sistemi però presentano alcuni vantaggi. Le maggiori emissioni di CH4 possono essere compensate dal maggior assorbimento di carbonio nel suolo, rimuovendo così la CO2 dall’atmosfera (Guyader et al., 2016). I sistemi di allevamento dei ruminanti allevati al pascolo, basati sull’impiego del foraggio, forniscono anche molti altri benefici ecologici, come la conservazione della biodiversità, il miglioramento della salute del suolo, il miglioramento della qualità dell’acqua e la fornitura di un habitat per la fauna selvatica (Guyader et al., 2016).

Il sistema di produzione del bovino da carne più diffuso in Italia è basato su una prima fase in cui il vitello è allevato su pascolo, in genere all’estero, e da una seconda fase in cui il vitello viene ingrassato in aziende specializzate con diete molto concentrate; questo sistema permette di ottenere valori di impronta di carbonio molto soddisfacenti (Berton et al., 2017).

  • Utilizzo di sostanze che evitano o inibiscono la metanogenesi

In questa categoria sono inserite quelle sostanze alimentari specifiche che direttamente o indirettamente evitano la metanogenesi oppure la inibiscono (Hristov et al., 2013). Alcune di queste strategie sono difficili da realizzare, oppure hanno una efficacia limitata sia in termini quantitativi sia per la durata, oppure ancora sono alle prime fasi sperimentali. Gran parte degli studi hanno riguardato i bovini da latte, tuttavia anche per quelli da carne vi sono delle esperienze importanti che, in diversi casi, sono divenute tecniche che possono essere correntemente applicate.

I lipidi, di origine vegetale o animale, sono stati oggetto di numerosi studi, per il potenziale effetto che questo genere di sostanze può avere nella riduzione delle emissioni di CH4 enterico. Tuttavia, l’integrazione di lipidi è spesso costosa e può ridurre la digeribilità della fibra e l’ingestione di S.S., inibire la fermentazione del rumine, deprimere la sintesi dei grassi del latte e alterare la composizione degli acidi grassi degli alimenti prodotti (Grainger e Beauchemin, 2011; Yáñez, 2013). Nelle prove su bovini da carne compiute da Beauchein et al. (2007) è risultato che la somministrazione di diverse fonti lipidiche ha comportato una riduzione delle emissioni di CH4 enterico, senza influenzare significativamente l’accrescimento. Sebbene l’integrazione di lipidi possa essere implementata immediatamente negli allevamenti commerciali, nel complesso ha un potenziale di riduzione da basso a moderato.

Nonostante l’enfasi sul contributo dell’allevamento bovino al riscaldamento globale, gli studi riguardanti molecole di origine naturale o sintetica in grado di ridurre le emissioni di metano enterico hanno riguardato quasi esclusivamente i bovini da latte. Alcune alghe concentrano florotannini e bromoformi, composti alogenati che inibiscono il coenzima M cobamide-dipendente durante la metanogenesi. La Dyctyota (Machado et al., 2014) e l’Asparagopsis hanno un interessante potenziale di diminuzione della produzione di CH4. Vi è comunque ancora incertezza sulla possibilità di adottare questa strategia, a causa dell’effetto che i bromoformi possono avere sull’ambiente e sulla salute. Il nitrato (NO3) è un recettore di H+ e per questo si è pensato alla sua utilizzazione per ridurre le emissioni di CH4. Nella prova condotta su vitelloni cui è stata somministrato del NO3 rumino-protetto non è stato osservato un effetto sull’accrescimento o alterazioni ematiche, ma neppure una riduzione della emissione di CH4 enterico (Lee et al., 2017).

Lo studio di composti che riducono la produzione di CH4 quando somministrati ai ruminanti è un’area di ricerca importante. L’approccio più comune è stato quello di utilizzare composti che inibiscono direttamente la metanogenesi. Tali composti devono ridurre le emissioni in modo persistente senza effetti tossici per animali, uomo e ambiente. Inoltre, devono essere a basso costo e non ridurre la produzione affinché possano essere adottati dagli allevatori. La maggior parte degli inibitori valutati può essere classificata come analoghi del CH4 o analoghi del metil-coenzima M, un cofattore coinvolto nel trasferimento del metile durante la metanogenesi. Tra i tanti composti che sono stati valutati, quello che sinora ha dato i migliori risultati è il 3-nitroossipropanolo (3-NOP). Anche per questo composto la letteratura scientifica riguarda prevalentemente la bovina da latte. Gli esperimenti su bovini da carne effettuati in Canada hanno mostrato che la somministrazione di 3-NOP non ha peggiorato la digeribilità degni alimenti ma ha fatto registrare una riduzione del 42% e del 37% delle emissioni di CH4 enterico dei vitelli da ristallo e di quelli all’ingrasso rispettivamente (Romero-Perez et al., 2014; Vyas et al., 2018). 

Vi sono poi altre strategie che potrebbero permettere una riduzione delle emissioni di CH4 ma richiedono ancora molta ricerca. Tra queste le più importanti sono la programmazione delle prime fasi di vita e la vaccinazione. La prima consiste nell’orientare le fermentazioni del rumine verso la produzione di propionato sin dalle prima fasi di vita. L’idea parte dall’osservazione che questo condizionamento persiste nel tempo (Yáñez-Ruiz et al., 2015). La seconda si basa sulla possibilità di indurre il sistema immunitario dell’animale a produrre anticorpi nella saliva che nel rumine sopprimono i microrganismi metanogeni (Subharat et al., 2016).

Proteina nella dieta ed emissioni di N2O e NH3

L’ammoniaca non è un gas climalterante, ma nell’esaminare le strategie per ridurre le emissioni N2O è importante prenderla in considerazione. Innanzi tutto, perché l’NH3 è precursore dell’N2O e poi perché c’è compensazione tra i due gas e la riduzione di uno non deve causare l’aumento dell’altro. L’alimentazione può influenzare anche l’emissione di N2O e di NH3, perché i composti derivanti dalla proteina che non viene utilizzata dall’animale per produrre carne o latte si ritrovano nelle feci o nelle urine. Il contrasto alle emissioni di N2O e di NH3 inizia con la somministrazione delle esatte quantità di proteina di cui l’animale ha bisogno. Il fabbisogno di proteina per un toro da carne di oltre 300 kilogrammi si aggira tra l’11,5 e il 13% della sostanza secca. Un apporto eccessivo o carente comporta inevitabilmente una perdita di efficienza nell’uso della proteina e un aumento delle emissioni. La prima strategia è quindi quella di somministrare la giusta quantità di proteina che permette il soddisfacimento dei fabbisogni di accrescimento. L’efficienza può essere migliorata considerando le caratteristiche della proteina alimentare, quale degradabilità e valore biologico ed introducendo, eventualmente, proteine rumino-protette o amminoacidi essenziali. Dopo l’escrezione, l’azoto ureico presente nelle urine viene rapidamente convertito in NH3 (Monteny ed Erisman, 1998). In uno studio che il Crea ha effettuato in tre allevamenti da carne del Bacino Padano si è rilevato che, a fronte di una riduzione del tenore proteico, ottimizzando la proteina by-pass o impiegando un foraggio di qualità migliore nella dieta, a parità di prestazioni produttive è diminuita l’escrezione di N. Può essere utile l’adozione di una alimentazione per fasi, considerando che i fabbisogni proteici diminuiscono in proporzione con la maturità dell’animale. Ad esempio, Vasconcelos et al. (2006) hanno riportato che riducendo la concentrazione di proteina grezza nella fase di finissaggio si riduce l’escrezione di N senza penalizzare la produzione.

Zootecnia di precisione

La zootecnia di precisione consiste nell’applicazione di tecnologie innovative che permettono all’allevatore di monitorare in modo automatico ogni singolo animale e di prendere decisioni immediate. Sulla zootecnia di precisione sono riposte molte aspettative soprattutto per quanto riguarda la migliore organizzazione del lavoro ed il benessere animale, ma è possibile qualche beneficio anche per l’ambiente. Nella loro revisione bibliografica, Lovarelli et al. (2020) suggeriscono che la zootecnia di precisione possa migliorare le prestazioni ambientali perché, migliorando l’uso degli input, viene migliorata l’efficienza complessiva. La tecnologia di precisione sta incontrando molto interesse negli allevamenti da latte, ma anche in quelli da carne può avere utili applicazioni. Ad esempio, l’applicazione di apparecchiature NIR (Near Infra Red) sul desilatore del carro miscelatore permette di controllare la composizione della razione e le dimensioni dei foraggi, in modo che sia distribuita la giusta razione e si eviti che gli animali scelgano tra le diverse frazioni.

Inoltre, la zootecnia di precisione facilita l’alimentazione a fasi che permette di distribuire razioni diverse a gruppi di animali che hanno esigenze diverse. La distribuzione automatizzata degli alimenti abbinata a sensori in grado di monitorare il consumo della razione distribuita permette, ad esempio, di gestire correttamente il razionamento in un centro di ingrasso in cui gruppi di animali, diversi per razza, peso e sesso, si alternano in continuazione. Ciò permette di non sprecare risorse e migliorare l’efficienza con cui i nutrienti sono utilizzati. L’aumento dell’efficienza è importante soprattutto per ridurre le emissioni di N2O, come visto prima, ma più in generale migliora l’impronta di carbonio, perché la produzione di alimenti richiede energia, fertilizzanti, antiparassitari e diserbanti. Queste tecnologie sono abbastanza recenti e solo ora stanno incominciando a diffondersi. I risultati si potranno vedere a medio termine perché il loro effetto sulle emissioni non è diretto e mancano, di conseguenza, dati che forniscano un’indicazione sul progresso realmente ottenibile.

Il progetto LIFE BEEF CARBON

Il progetto Life Beef Carbon, finanziato dalla Commissione Europea e coordinato dall’Institut de l’Elevage francese, che vede la collaborazione del Crea, Teagasc e Asoprovac, con i partner italiani Asprocarne e Unicarve, ha visto la partecipazione di circa 2000 allevatori di bovini da carne in quattro Paesi europei, con l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra del 15% in 10 anni. Il progetto ha, innanzi tutto, stilato un elenco di strategie utili a tale scopo, fornendo una stima del loro potenziale (O’Brien et al., 2020).

Le strategie riguardano vari aspetti dell’allevamento e mirano al miglioramento delle prestazioni e del benessere, alla riduzione delle emissioni dall’animale, dalla stalla o nella distribuzione delle deiezioni, alla riduzione dei consumi energetici e all’aumento del sequestro di carbonio. Negli allevamenti italiani nell’arco di cinque anni è stato possibile ridurre le emissioni dell’11% (Carè et al., 2020). Lo studio sta inoltre mettendo in luce che, adottando più di una strategia, è possibile superare l’obiettivo posto dal progetto in tempi brevi e che il miglioramento delle prestazioni produttive è il fattore chiave per ridurre l’intensità di emissione. Inoltre, i risultati ottenuti nell’ambito del progetto hanno mostrato che l’applicazione di alcune strategie di mitigazione che agiscono sull’alimentazione degli animali come l’aumento della quota di concentrato nella dieta, l’aggiunta di acidi grassi o CLA e la riduzione della quantità di proteine possono determinare una riduzione dell’impronta di carbonio dell’azienda del 3%. Il progetto ha poi messo in evidenza che il sistema di allevamento integrato francese-italiano per la produzione del vitellone da carne ha un impatto ambientale positivo poiché si combina la capacità di sequestro del carbonio presente nella prima fase di allevamento al pascolo degli animali e la bassa emissione di CH4 enterico derivante dalla dieta ad elevato contenuto in cereali tipica della fase d’ingrasso.

Foto: Pixabay

Bibliografia

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Articolo di Giacomo Pirlo, Sara Carè, Luciano Migliorati – Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria. Centro di ricerca zootecnia e acquacoltura, Lodi