Home Attualità Niente investimenti né riconoscimenti professionali, così la ricerca fugge dall’Italia

Niente investimenti né riconoscimenti professionali, così la ricerca fugge dall’Italia

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Tanti i ricercatori italiani che se ne vanno all’estero e pochi gli stranieri che scelgono di proseguire la loro carriera in Italia: è questo il quadro dipinto dal venticinquesimo Rapporto Italia di Eurispes, secondo cui la situazione è una delle inevitabili conseguenze della tendenza a ridurre sempre di più gli investimenti nel settore. Una tendenza totalmente opposta alle volontà dei cittadini, che stando ai risultati di un’indagine Ipso presentati nello scorso mese di novembre sono favorevoli alla ricerca scientifica anche sugli organismi geneticamente modificati (Ogm), ormai da tempo osteggiati dall’impianto politico nostrano.

 

Secondo Eurispes, “la vera sfida per i Paesi ad economia avanzata, ancor più in un contesto economico difficile come quello attuale, è quella di ripensare all’importanza del ruolo della ricerca scientifica per contribuire a rafforzare e migliorare la competitività, al fine di allargare gli orizzonti del progresso della società”. Eppure istituzioni private non profit e istituzioni pubbliche investono di più rispetto alle imprese (rispettivamente +12,1%, +6,5% e +3,3%) e l’università, habitat naturale della ricerca, ha ridotto del 2,8%gli investimenti nel settore. In generale, la percentuale del Prodotto interno lordo investito in spesa per la ricerca e lo sviluppo rimane ferma all’1,26% registrato nel 2010, pari, in media, a 19,3 miliardi di euro nel triennio 2009-2011. Di questi, il 52,9% è giunto dalle imprese, il 30,3% dalle Università, il 13,4% dalle Istituzioni pubbliche e il 3,4% dalle istituzioni private non profit.

 

I lavoratori che, in Italia, sono inseriti nel settore della ricerca sono 225.632 – lo 0,4% in meno rispetto al 2009 -, di cui, nel 2010, 103.424 ricercatori a tempo pieno. La ricerca di occupazione è più facile nelle imprese (+2,2%) e nelle istituzioni pubbliche (+2,7%), mentre è sempre più difficile trovare un lavoro nelle istituzioni private non profit (-19,7%) e nelle università (-3,5%). La situazione ha fatto sì che il 7% dei dottori di ricerca che hanno conseguito il titolo tra il 2004 e il 2006 nel 2010 si era già trasferito all’estero, mentre il 13% intendeva farlo entro un anno. Al contrario, non sono molti i ricercatori stranieri che si trasferiscono in Italia. Secondo un’indagine commissionata dal National Bureau of Economic Research, a fronte di un 16,2% di ricercatori che lasciano l’Italia, solo un 3% sceglie il Bel Paese per proseguire la sua carriera. Tutto ciò nonostante la possibilità offerta dall’European Research Council (ERC), che si è impegnato per ridurre l’esodo degli scienziati verso i paesi extraeuropei finanziando tra il 2007 al 2013 borse di studio per un totale di 3,9 milioni di euro da dividere fra 2.557 ricercatori. Di questi, solo 16 stranieri hanno scelto di studiare in Italia, mentre fra i 257 italiani che se ne sono aggiudicata una, ben 106 hanno scelto di utilizzarla recandosi all’estero.

 

Una volta emigrati, raramente i ricercatori italiani rientrano in patria, nemmeno a fronte degli incentivi pensati dal Governo negli ultimi anni. All’estero si ottengono incarichi di rilievo, in pochi casi si lavora a lungo come assegnisti di ricerca. Insomma, in Italia si investe poco e alcuni settori della ricerca – in particolare quella sugli ogm – devono scontrarsi con le decisioni politiche, mentre all’estero è possibile fare ricerca ad alto livello con posizioni contrattuali adeguate. A fronte di una previsione, per il 2011, di una piccola crescita (+0,7%) della spesa per la ricerca e lo sviluppo, ciò che è aumentato è il fenomeno dei “cervelli in fuga”.

 

Foto: Pixabay

Silvia Soligon