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Siciliani (Uniceb): “Investire nella linea vacca-vitello per produrre carne italiana e dipendere meno dall’estero”

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foto pixabay

Carlo Siciliani è il presidente di Uniceb-Unione italiana Filiere carni. Insieme ad Assalzoo, Cia, Confagricoltura, Copagri, Fiesa-Confesercenti e Assograssi, Uniceb è socio fondatore dell’organizzazione interprofessionale per la carne bovina Oicb. In rappresentanza di oltre 130 aziende del comparto, Uniceb è in prima linea nella tutela degli interessi di categoria e nell’ottimizzazione degli investimenti davanti alla doppia transizione digitale e ambientale prevista anche per la zootecnia dal Pnrr.

Il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) è stato pensato per sostenere l’economia italiana, compreso il settore agroalimentare, dopo lo shock della pandemia. Cosa può rappresentare per la filiera delle carni, in sofferenza a seguito dell’emergenza dello scorso anno?

L’aumento dei costi dell’energia previsto dalle aziende per il 2022 è di circa il 50%. È imprescindibile migliorare ed efficientare i sistemi energetici interni ricorrendo all’uso degli scarti delle produzioni animali per produrre energia termica, elettrica e biogas per la trazione dei mezzi di trasporto, adottare in pratica, con convinzione, un modello di economia circolare. Per mettere in campo questo cambiamento sia economico che anche culturale delle strutture produttive agricole e zootecniche, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è un’opportunità che deve essere assolutamente colta. Gli 800 mln di euro per ridurre l’impatto dei trasporti agroalimentari e migliorare la capacità di stoccaggio e trasformazione delle materie prime, i 19,92 mld per lo sviluppo del biogas e del biometano, gli 880 mln per la resilienza dell’agrosistema irriguo, 1,5 mld per rimuovere l’eternit dai tetti delle strutture aziendali e l’installazione di pannelli solari, i 500 mln per l’innovazione e la meccanizzazione nel settore agricolo costituiscono uno straordinario pacchetto di investimenti che ci mette nella condizione di porre in atto il cambiamento necessario per migliorare la competitività e andare incontro a quella rivoluzione verde e di transizione ecologica che è l’impegno assoluto dei prossimi trent’anni. La vera sfida da parte nostra, come imprenditori, sarà di utilizzare al meglio tali risorse senza sprechi e da parte del Governo sarà quella di dare immediata disponibilità di tali risorse con regole chiare e semplici.

Una delle direttrici lungo la quale dovrà dispiegarsi la ripresa è la transizione verde. Che valore ha e cosa comporta per il vostro settore la sostenibilità?

La zootecnia italiana non parte da zero in fatto di sostenibilità. Dal 1990, il sistema zootecnico nazionale ha ridotto le emissioni del 12% e, rispetto al 1970, gli allevamenti italiani hanno ridotto le emissioni di metano, il principale gas serra della zootecnia, del 40%. Non siamo noi a dirlo, bensì gli studi Ispra. Il contributo della zootecnia italiana alle emissioni di gas serra è in costante diminuzione e attualmente rappresenta il 5,2% delle emissioni complessive nazionali di Co2eq. Sull’utilizzo dell’acqua per la produzione di un kg di carne, ben l’87% è costituito da acqua piovana. Certamente tanto può e deve essere fatto perché crediamo convintamente nei valori della sostenibilità ambientale, ma credo che occorra raccontare ai consumatori e all’opinione pubblica in generale queste performance per contrastare una narrazione dei nostri allevamenti che troppo spesso è strumentale.

Per la carne bovina, dal confronto con il prodotto estero, quello italiano soffre per i maggiori costi di produzione e per la dipendenza dai mercati stranieri. In che modo si può agire per aumentarne la competitività?

Occorre lavorare in filiere organizzate e strutturate con intese precise e trasparenti  tra i vari anelli, per permettere di operare economie di scala sulle materie prime. Occorre poi efficientare i sistemi energetici. Dobbiamo andare nella direzione della ripresa e dello sviluppo della linea vacca-vitello, per la produzione di carne italiana che proviene da animali nati, allevati e macellati nel nostro Paese perché ce lo richiede il mercato fatto da consumatori più sensibili e attenti al prodotto, e per essere sempre meno dipendenti dalle importazione di giovani vitelli da ingrasso dalla Francia. Attualmente, infatti, importiamo all’anno oltre 800.000 broutard dai vicini d’Oltralpe.

Come ricordato dal Mipaaf, il Pnrr pone l’accento sui contratti di filiera in agricoltura. Qual è lo stato dell’integrazione di filiera nel settore carneo? Sarà possibile parlare di una filiera certificata tutta italiana?

Il settore, per caratteristiche territoriali e culturali è ancora molto frammentato. Le spinte a fare ragionamenti di sistema ci sono ma è un lavoro lungo e difficile. Uniceb, in collaborazione con CIA-Agricoltori italiani, sta concretizzando un progetto ambizioso da 33 milioni di euro per la produzione di carne italiana sin dalla nascita dei bovini; un vero modello nazionale integrato di carne di alta qualità che si sviluppa, con diverse caratteristiche, sia al Nord che al Sud nel settore delle carni bovine ma anche di quelle suine. L’obiettivo dichiarato è di arrivare ad una produzione di 80.000 bovini italiani all’anno, ridurre i costi di produzione e di transazione, definire relazioni contrattuali efficaci, eque e trasparenti in modo da garantire redditi adeguati a tutti gli operatori della filiera, non perdendo di vista, dall’altra parte, la sostenibilità ambientale e il benessere animale. Questa ricetta si tradurrà in qualità del prodotto finale e minore dipendenza dall’estero.

Su quali valori dovrà puntare in futuro il settore delle carni per rendere più attrattivi i suoi prodotti e sostenere i consumi nella direzione desiderata?

I valori sono quelli di sempre: dobbiamo continuare a puntare su qualità e sicurezza del prodotto. La filiera ha un bisogno assoluto di riconquistare la fiducia del consumatore che troppo spesso è minata da campagne denigratorie sotto il profilo nutrizionale e salutistico e riaffermare il suo ruolo di asset strategico per il Paese nell’ambito del comparto agroalimentare. Senza una rinnovata fiducia non si può raggiungere l’obiettivo di una piena ripresa ma, soprattutto, non si può rilanciare il volano degli investimenti da parte degli imprenditori.