Home Attualità Tante norme, troppe interpretazioni: un ostacolo per la ripresa

Tante norme, troppe interpretazioni: un ostacolo per la ripresa

800
0
foto pixabay

Mentre si guarda ai prossimi mesi con aspettativa ed entusiasmo per quanto il Paese riuscirà a fare con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, complici una relativa tranquillità della situazione sanitaria che vede tutta Italia in zona bianca, alcuni aspetti che attengono l’attività del nostro settore sono fonte di preoccupazione e impongono una riflessione su come un legislatore, distratto e frettoloso, possa generare problemi ed oneri sia agli operatori che alle autorità stesse. Se infatti da un lato vengono varate misure per aiutare i settori più in crisi, dall’altro vi sono alcuni provvedimenti che nulla hanno a che fare con le politiche di sostegno e che, al contrario, fanno riflettere.

Inevitabile rivolgere il primo pensiero a quanto accaduto alla Legge 283/1962 la cui abrogazione prevista dal Decreto Legislativo 27/2021 (in vigore dal 26 marzo) ha destato grande scalpore. Una storica modifica del quadro normativo e sanzionatorio effettuata senza porre le corrette basi e che è stata invalidata dalla sovrapposizione ad opera di un decreto-legge, in questo caso veramente fatto e pensato d’urgenza, entrato in vigore tre giorni prima del Decreto Legislativo 27/2021. Un provvedimento che non tanto ha resuscitato la Legge 283, quanto ne ha addirittura impedito la morte. Si tratta di una norma che poco interessa al settore mangimistico, ma l’accaduto pone in evidenza come vi siano stati dei seri problemi nell’iter legislativo del suddetto decreto, tra cui –  lasciatemelo dire – l’assoluta mancanza di confronto con i portatori di interesse, ai quali era stata sottoposta nell’estate 2019 una bozza che pochissimo aveva a che vedere con il testo pubblicato in Gazzetta. L’abrogazione della Legge 283 è solo il fatto più eclatante, è la punta di un iceberg, perché con lo stesso provvedimento il legislatore ha modificato l’intera procedura difensiva delle non conformità afferenti le competenze del Ministero della Salute, sostituendo il consolidato istituto della revisione d’analisi con le ancora inesplorate controperizia e controversia.

Ammettiamolo, le novità nell’ambito dei controlli ci lasciano, in quanto operatori, sempre un po’ perplessi e preoccupati, ed in questo caso ce n’è ben donde, infatti le stesse autorità di controllo e laboratori non hanno ricevuto istruzioni operative armonizzate e così, dal nostro punto di vista privilegiato di osservatorio nazionale, la prima non conformità notificata che segue questo nuovo iter ha colto spiazzato anche il competente Istituto Zooprofilattico. Ma è possibile, in un momento già fortemente critico e impegnativo per le aziende, modificare procedure consolidate senza avere chiara l’applicazione del nuovo dispositivo e la correttezza delle tempistiche individuate, mandando così allo sbaraglio i propri uomini in campo?

Non si tratta di preferire una modalità di difesa rispetto ad un’altra, se dovremo farlo ci abitueremo anche a questa, ma di operare in modo chiaro e trasparente evitando che autorità, operatori e legali debbano essere chiamati a difficili opere di interpretazione e alla necessità di dover imparare di volta in volta sul campo, e che tutto questo debba avvenire sulla pelle degli operatori chiamati a rispondere con sanzioni pesanti.

Ma il caso della controperizia e controversia non è l’unico esempio. Doveroso, infatti, un riferimento alla “diffida” istituita con decreto-legge nel 2014. Un istituto che nel settore mangimistico è stato sempre considerato difficilmente applicabile. Tuttavia, con l’approvazione della Legge 120/2020 viene stravolto nei contenuti allargando le maglie, probabilmente oltre quanto lo stesso settore produttivo avrebbe voluto. Sì, perché prevedere la possibilità di applicare la diffida sempre, e non solo la prima volta che si compie quel determinato tipo di violazione, supera l’obiettivo del ‘warning’ e mette in discussione il valore di lavorare bene. Così si sono susseguiti mesi di contatti, valutazioni legali per gestire una serie piuttosto numerosa di diffide giunte agli operatori del settore mangimistico. Per poi riscontrare che a maggio, in un provvedimento di conversione in legge di un ennesimo DL, è stata apportata un’ulteriore modifica della diffida riportandola quasi alla versione originaria.

Ma di esempi di questo fiorente caos legislativo ce ne sono tanti. Si pensi anche all’introduzione, nella Legge di Bilancio 2020 (quella il cui articolo 1 è costituito dalla bellezza di ben 1150 commi!), di tre commi che gettano le basi per il cosiddetto “Granaio Italia”, che prevede il monitoraggio di cereali e farine. Tre commi che nella loro brevità riescono a non essere tra loro concordanti e che, come se non fosse sufficiente, inseriscono un quadro sanzionatorio inspiegabilmente oneroso e sproporzionato. E che, ancor più grave, vanno ad istituire nuovi registri, quando, in nome della semplificazione, altri registri sono stati tolti dai governi precedenti e dal Decreto semplificazioni del 2019. Un altro esempio di caos normativo e di resistenza a quella necessaria sburocratizzazione, spesso richiamata ma mai attuata. Un secolo fa il Presidente Einaudi, riferendosi all’azione della Pubblica Amministrazione nei confronti delle aziende, già scriveva “… Migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. È la vocazione naturale che li spinge, non soltanto la sete di denaro. Il gusto, l’orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti, abbellire le sedi, costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno.” Chissà Einaudi cosa scriverebbe oggi.

di Lea Pallaroni – Segretario generale di Assalzoo

Foto: Pixabay