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Veronesi: “È ora di affrontare i nodi dell’agro-zootecnia italiana: costi delle materie prime e integrazione di filiera”

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Marcello Veronesi è presidente di Assalzoo dal 2018. Nel corso dell’ultima assemblea dell’associazione è stato rieletto per un secondo mandato triennale

Presidente, il 2020 è stato un anno sconvolto dalla pandemia da Covid-19, con ripercussioni anche per il settore agro-alimentare-zootecnico. Qual è lo stato della mangimistica italiana dopo questi mesi difficili?

Il 2020 ha rappresentato un anno molto difficile per ogni settore produttivo e anche se il settore alimentare, di cui la mangimistica fa parte – in quanto ritenuto “essenziale” – ha continuato la sua attività, ha dovuto fare i conti con una mole notevole di difficoltà. In primo luogo le aziende hanno dovuto applicare severi protocolli di sicurezza, per salvaguardare non solo la salute dei propri dipendenti ma anche per evitare il rischio di contagi tra le persone che a vario titolo vengono in contatto con il personale delle aziende. In ogni unità produttiva circolano centinaia di persone al giorno e questo ha necessitato di un’azione di prevenzione, controllo e vigilanza su ogni attività dell’azienda, con uno sforzo a livello organizzativo, amministrativo ed economico che ha messo a dura prova la tenuta delle aziende. Laddove possibile si è fatto ricorso al lavoro agile ma ovviamente gli addetti agli impianti hanno dovuto continuare a lavorare per assicurare la produzione necessaria a soddisfare la richiesta degli allevamenti. A ciò devono aggiungersi le difficilissime conseguenze che le severe limitazioni alla circolazione delle persone hanno avuto sui rifornimenti di materie prime e sulla distribuzione dei prodotti finiti. Abbiamo poi dovuto fare i conti con il forte rallentamento delle attività di trasporto, che hanno pesato non solo a livello nazionale interno ma anche per gli arrivi e le partenze da e verso l’estero. Un problema enorme se si considera la nostra forte dipendenza dalle importazioni per le materie prime ma anche la nostra forte propensione all’export di prodotti alimentari. Lo sforzo sostenuto dalle aziende durante questo difficilissimo periodo è stato enorme e per questo non mi stancherò mai di ringraziare tutti gli operatori del settore. In questo periodo la produzione mangimistica non solo non è diminuita ma è addirittura aumentata, per assecondare la crescita di domanda di mangimi e per garantire a tutti i consumatori l’approvvigionamento di prodotti alimentari, come carni, latte, uova e pesce, che non sono mai mancati sulle tavole degli italiani. In questa tragedia una piccola cosa mi piacerebbe venisse  ricordata. Nei nostri allevamenti e nelle nostre aziende siamo abituati da sempre a elevati standard di igiene e di biosicurezze; mascherine, camici, calzari, lavarsi le mani e stringenti protocolli di biosicurezza, sanificazioni per garantire elevati livelli di salubrità dei prodotti e minimizzare la diffusione di malattie sono la prassi per i nostri collaboratori, allevatori, impianti e i nostri mezzi.

L’economia internazionale sta facendo i conti con l’aumento dei prezzi delle materie prime, comprese quelle agricole tra cui mais e soia. Cosa significa questo scenario per il comparto dell’alimentazione animale?

La ripresa delle attività, che sta lentamente tornando a livelli pre-pandemia, soprattutto in grandi Paesi come la Cina ma non solo, ha generato una forte crescita della domanda in tutti i settori. Un fenomeno che riguarda anche le materie prime per la produzione alimentare, food e feed, e che ha generato un’impennata delle quotazioni di tutte le principali commodities – come i cereali e i semi oleosi – con prezzi che hanno raggiunto in pochi mesi picchi elevatissimi: il mais e la soia hanno toccato punte, rispettivamente, di oltre il 60% e quasi il 70%. Questo naturalmente ha avuto un effetto domino su tutte le altre materie prime per mangime, come l’orzo, il grano tenero e la stessa crusca cresciuta di oltre il 60%. Uno scenario che dura ormai da 11 mesi e che, al di là dei picchi raggiunti, vede le quotazioni delle materie permanere su livelli molto elevati. Una situazione che sta mettendo a dura prova la tenuta della zootecnia del nostro Paese che, al contrario, non riesce a scaricare i maggiori costi di alimentazione degli animali sui prodotti che derivano dagli allevamenti. Come industria mangimistica cerchiamo di fare il possibile per contenere gli aumenti, ma è ovvio che il perdurare di questa situazione non concede ormai più margini alle nostre aziende e per tale ragione abbiamo chiesto un intervento del Ministero perché si rischia il cortocircuito del settore agro-zootecnico. Del resto, appare difficile fare previsioni ottimistiche per il medio-lungo periodo visto l’andamento dei raccolti a livello mondiale e la riduzione delle scorte. Occorre al più presto un confronto con tutta la filiera anche per una più equa ripartizione di questi maggiori costi su tutti gli anelli della filiera, unitamente a una corretta redistribuzione della catena del valore.

La mangimistica è da sempre votata all’applicazione dell’economia circolare e all’uso efficiente delle risorse. Quale contributo può dare per la sostenibilità del settore zootecnico?

L’industria mangimistica rappresenta un vero plus per il settore alimentare e per la zootecnia italiana. Da sempre siamo forti utilizzatori di molti coprodotti delle lavorazioni dell’industria alimentare, contribuendo a valorizzare nello stesso circuito alimentare notevoli quantità di prodotti secondari che senza l’industria mangimistica diverrebbero una perdita netta all’interno del settore alimentare, dalle crusche dall’industria molitoria al melasso dell’industria dello zucchero, dai residui della produzione degli amidi dall’industria amidiera ai molti prodotti della panetteria e della biscotteria ritirati dai punti vendita per ragioni commerciali, e tanti altri. Sono oltre 4 milioni di tonnellate di prodotti che l’industria mangimistica reimmette nel circuito alimentare come alimenti per animali. Il ruolo dell’industria mangimistica è sempre più imprescindibile per assicurare un elevato grado di circolarità all’interno del settore alimentare. Ci sono ancora margini di miglioramento e sono sicuro che attraverso la continua attività di ricerca, ma anche con la crescita di sensibilità da parte di tutti i comparti alimentari, possiamo realizzare sinergie che permetteranno di gestire sempre meglio le risorse disponibili, evitando scarti e sprechi, e rendendo la produzione alimentare e la zootecnia ancora più sostenibili.

Per garantire la tenuta della zootecnia, per rilanciare i consumi e il Made in Italy, una strategia di filiera strutturata e strutturale resta un’opzione valida?

Occorre prima risolvere un problema di base per affrontare la questione del Made in Italy alimentare in modo pragmatico, per evitare che quello che ritengo un valore aggiunto importante per la nostra economia agro-zootecnica-alimentare venga ridotto a un mero slogan. L’Italia oggi è carente di troppe materie prime necessarie a garantire una produzione 100% made in Italy: mi riferisco in primis, ma non solo, ai cereali, alle oleo-proteaginose e ai prodotti zootecnici, in particolare carne bovina, carne suina, pesce, latte. Si tratta di un gap importante per un Paese come il nostro grande produttore di eccellenze alimentari. Oggi siamo costretti a utilizzare nelle nostre produzioni materia prima di importazione e a costi sicuramente maggiori di quanto potrebbe avvenire se la materia prima di partenza fosse prodotta in Italia, senza contare i vantaggi e le maggiori garanzie che una produzione interamente locale può offrire rispetto a quella estera, da sottoporre a controlli e spesso priva di standard del nostro stesso livello. Quindi dobbiamo partire da un grande piano di rilancio della produzione primaria agricola e zootecnica del nostro Paese. Lo chiediamo da anni ma occorre che tutta la filiera ne prenda atto per proporre un progetto unitario da presentare alle istituzioni. Ma occorre fare presto per non perdere la grande opportunità oggi offerta dai fondi del PNRR, attraverso i quali è possibile avviare un processo di vero rilancio dell’agro-zootecnia in Italia a garanzia del nostro gradi di autoapprovvigionamento e delle nostre generazioni future.

Se immaginiamo il comparto fra dieci anni, quali potranno essere le linee evolutive della mangimistica per una zootecnia verde?

La mangimistica rappresenta una leva fondamentale dello sviluppo della zootecnia e i moderni mangimi sono una dimostrazione di quanto sia importante il loro ruolo per fornire un’alimentazione con elevato grado nutrizionale, di sicurezza e di efficienza, evitando sprechi in mangiatoia e ottimizzando le risorse disponibili, sia grazie alla circolarità sia attraverso il lancio su larga scala dei “mangimi di precisione”, vale a dire mangimi studiati e formulati sulle esigenze specifiche di ogni stalla e specie animale, per età e per tipologia di produzione cui sono destinati. Oggi per produrre un chilogrammo di carne o di latte è necessario in media dal 30% al 50% in meno di mangime rispetto a 30 anni fa. Questo significa maggiori economie, minore spreco, maggiore salute e quindi benessere degli animali, ma anche minori costi di produzione e maggiore capacità produttiva a parità di risorse impiegate, con beneficio per i consumatori finali e un più alto grado di sicurezza alimentare. Un grande risultato che attraverso la ricerca può essere migliorato ancora di più e che testimonia l’attenzione e il ruolo della mangimistica per una zootecnia sempre più sostenibile.