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Antibiotico-resistenza: impariamo a parlarne

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Negli ultimi anni, la problematica della resistenza agli antibiotici sta assumendo sempre più importanza, tanto da ritenerla la più grave minaccia alla terapia delle malattie infettive. L’uso inappropriato di antibiotici per la terapia in medicina umana e veterinaria, l’uso di antimicrobici per finalità non terapeutiche, nonché l’inquinamento dell’ambiente da parte di questi farmaci sta accelerando la nascita e la diffusione di microrganismi resistenti. Prima di addentrarci nelle problematiche ad essa connesse, risulta utile spiegare che cos’è e come si sviluppa l’antibioticoresistenza. La resistenza agli antimicrobici non è altro che la capacità di un microrganismo di resistere all’azione di un antibiotico. La resistenza può essere intrinseca, qualora ciò sia dovuto alla natura del microrganismo stesso, che non è mai stato sensibile ad un particolare antimicrobico, oppure acquisita, quando ceppi batterici sensibili ad un particolare antibiotico sviluppano resistenza nei suoi confronti. Lo sviluppo di resistenza acquisita avviene attraverso la selezione naturale. Dal momento che i batteri possono riprodursi rapidamente (20’), questo anche in relazione al numero di microrganismi presenti nell’ambiente, lo sviluppo della resistenza può avvenire in tempi brevi. Può svilupparsi anche una resistenza multipla, quando un ceppo batterico può diventare resistente a più tipi di antibiotici (più antimicrobici che appartengono alla stessa classe o, anche, a classi diverse).


Perché è un problema? Quando è in corso un’infezione, con febbre, il più delle volte si ricorre all’utilizzo degli antibiotici, spesso a largo spettro di azione su diversi batteri, senza avere isolato l’eventuale microrganismo responsabile e aver valutato quale fosse la terapia più idonea, così come quando si suppone che possa svilupparsi un’infezione, si arriva a fare un trattamento antibiotico, senza avere alcuna sintomatologia evidente. È proprio questo uso inappropriato, anche quando non strettamente necessario, che ha portato allo sviluppo della resistenza agli antibiotici. Già nel 2009, l’OMS ha definito l’ antibioticoresistenza come una delle più grandi minacce alla salute umana. Se da un lato la ricerca e lo sviluppo di nuovi antibiotici non sta dando risultati soddisfacenti, e nel frattempo la loro efficacia sta velocemente diminuendo perché i batteri diventano sempre meno sensibili a questi farmaci, lo scenario per il futuro non potrà che essere lo sviluppo di infezioni batteriche non curabili. 

 

In base alle stime del Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie, (ECDC) la resistenza antimicrobica causa ogni anno 25 000 decessi e costa oltre 1,5 miliardi di euro in termini di spese sanitarie e perdita di produttività. Negli ultimi anni l’antibioticoresistenza è aumentata in maniera preoccupante, in campo umano, soprattutto nei confronti di batteri Gram-negativi (es. Escherichia coli e Klebsiella pneumoniae), così come per alcuni patogeni animali, spesso agenti zoonotici di origine alimentare, quale diretta conseguenza del “cattivo uso” degli antibiotici negli animali destinati alla produzione di alimenti per l’uomo, che vengono usati sia per curare le malattie che per prevenirle. Nonostante l’uso degli antibiotici promotori di crescita sia bandito in Europa fin dal 2006, in molti Paesi extraeuropei non è ancora completamente regolamentato e l’uso degli antibiotici risulta addirittura più diffuso in ambito veterinario che in campo umano.

 

Le possibili implicazioni per la salute umana non sono da sottovalutare, perché, nell’uomo, le infezioni causate da batteri resistenti ad alcune classi di antibiotici e veicolate dagli alimenti (es. Campylobacter spp e Salmonella spp) sono molto difficili da curare, con conseguenze a volte fatali. Si contano che siano quasi 200.000 i casi di campilobatteriosi riportati in Europa e oltre 100.000 quelli di salmonellosi nel 2011 e molti imputabili a batteri antibiotico-resistenti. E siccome i batteri resistenti si spostano con le persone, con gli animali e con gli alimenti, i fenomeni ad essi associati non conoscono confini geografici.In particolare, preoccupa soprattutto la resistenza agli antibiotici essenziali per la medicina umana (fluorochinolonici, cefalosporine di terza e quarta generazione, macrolidi), largamente utilizzati anche in campo veterinario e negli allevamenti di animali produttori di alimenti per l’uomo. Ad esempio, in Europa nel 2008 la resistenza ai fluorochinoloni, una delle classi di antibiotici più importanti per trattare le malattie (infezioni alle vie respiratorie, alle vie urinarie, ecc.) nell’uomo, era del 18% in Salmonella spp nel pollo, mentre in Italia ha raggiunto valori del 30% ed è risultata ancora più elevata in Campylobacter jejuni.


Come prevenirla e combatterla? L’antibioticoresistenza è un grande problema sociale europeo e globale, che coinvolge molti settori diversi quali medicina, veterinaria, zootecnia, agricoltura, ambiente e commercio. Non può essere affrontato con successo attraverso sforzi settoriali isolati e deve essere coordinato al di là delle frontiere.I veterinari, i medici, i mangimisti, gli allevatori, le Autorità per la sicurezza alimentare, tutti hanno un ruolo chiave nel preservare l’efficacia degli antibiotici e nel proteggere la salute umana ed animale. Un sostanziale rafforzamento di quanto già di uso corrente, insieme ad una nuova serie di misure rigorose, come un uso responsabile degli antimicrobici “Quando serve, Quanto serve”, sono necessari per evitare l’ulteriore diffusione della resistenza e preservare la capacità di combattere le infezioni microbiche.

 Foto: Pixabay

Filomena Bifulco – Assalzoo