Home Economia Cereali, dalla siccità alla guerra: giù la produzione mondiale. L’allarme delle categorie

Cereali, dalla siccità alla guerra: giù la produzione mondiale. L’allarme delle categorie

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Meno grano, mais e frumento. Per il 2023 la produzione globale di cereali diminuirà del 2%. Non accadeva da cinque stagioni. Le previsioni sono dell’International Grains Council. I magri raccolti sarebbero l’effetto della siccità che sta investendo in questi mesi l’Unione Europea.

Per il mais la contrazione sarà di 32 milioni di tonnellate in un anno, con conseguenti effetti sul mercato dei mangimi. La produzione di frumento sarà invece ridotta di 11 milioni di tonnellate. Ma il deficit produttivo causato dalla siccità riguarda anche l’Italia: secondo Ismea, il grano duro a fine 2022 potrebbe essere inferiore di circa il 16% rispetto all’anno precedente. L’Istat invece certifica nel Bel Paese una contrazione del 4,8% dei campi coltivati a mais nel 2022. E a complicare gli approvvigionamenti c’è da febbraio anche la guerra tra Russia e Ucraina.

Federalimentare

“Non sono più solo i prezzi alle stelle del grano a preoccuparci, ma il rischio di carenza di questa materia prima anche in Italia”, è l’allarme lanciato da Federalimentare dopo il blocco russo nei porti ucraini. Il prezzo del grano è aumentato da febbraio a oggi del +52% e solo nell’ultimo mese l’aumento è stato del +16%. A questo problema oggi se ne aggiunge un altro, spiega Vacondio: “Ho sempre detto che l’Italia non avrebbe mai avuto problemi di approvvigionamento di cereali, ma una serie di eventi hanno cambiato questa condizione”. “In parte il problema è logistico, perché il blocco sul mar Nero non permette all’Ucraina di esportare, mentre dall”altra parte la Russia ha ridotto le sue esportazioni. C”è poi un problema di ritenzione, perché quasi tutti i paesi europei esportatori stanno rallentando l’offerta/export”.

“La conseguenza è che non solo nei paesi in via di sviluppo ma anche in paesi come l”Italia, importatore per il 60% di grano tenero, rischiamo di assistere a concrete difficoltà di approvvigionamento di cereali. Se le cose andranno avanti in questo modo, la mancanza di offerta che si sta verificando si ripercuoterà su aziende alimentari e consumatori molto più duramente di quanto non stia già accadendo con l’aumento dei prezzi, tanto più che i cereali sono trasversali a tutti i settori alimentari e quindi questa situazione non sarà relativa solo a qualche prodotto, ma a tutta la filiera (carne, uova, pasta, formaggi, latte, ecc)”.

Coldiretti

Sulle produzioni – spiega Coldiretti – pesano le avverse condizioni climatiche con l’emergenza siccità che continua ad interessare importanti aree del Paese a partire dalla pianura padana dove si produce 1/3 dell’agroalimentare italiano. Una situazione preoccupante – continua Coldiretti – con più di 1 azienda agricola su 10 (11%) è in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività ma ben circa 1/3 del totale nazionale (30%) si trova comunque costretta in questo momento a lavorare in una condizione di reddito negativo per effetto dell’aumento dei costi, secondo il Crea. Ad essere più penalizzati con i maggiori incrementi percentuali dei costi correnti – continua la Coldiretti – sono proprio le coltivazioni di cereali, dal grano al mais, che servono al Paese a causa dell’esplosione della spesa di gasolio, concimi e sementi e l’incertezza sui prezzi di vendita con le quotazioni in balia delle speculazioni di mercato.

“Bisogna invertire la tendenza contenendo il caro energia ed i costi di produzione con interventi sia immediati per salvare le aziende che strutturali per programmare il futuro del sistema agricolo nazionale,” afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “occorrono investimenti per aumentare la produzione e le rese dei terreni con bacini di accumulo delle acque piovane per combattere la siccità ma bisogna anche sostenere la ricerca pubblica con l’innovazione tecnologica a supporto delle produzioni, della biodiversità e come strumento di risposta ai cambiamenti climatici”.

Cia Agricoltori

Senza piogge, Cia-Agricoltori Italiani stima in Italia un crollo del 50% con una resa di 40/50 quintali per ettaro, paragonabile all’annus horribilis del 2003. La beffa arriverebbe per gli agricoltori dalla finanza internazionale -hedge fund e fondi speculativi, che sta affondando il prezzo del mais, arrivato a 35 euro/qt e destinato a scendere ancora, noncurante della forte contrazione sul mercato globale dopo il conflitto ucraino. Secondo Cia, a fronte di una spesa media per ettaro schizzata a 3mila euro dopo i rincari energetici e dei fertilizzanti, al cerealicoltore servirebbero almeno 40euro/qt per raggiungere un risicato pareggio.

Tutta la zootecnia nazionale sarebbe sempre più in balia dell’import ed esposta alla volatilità dei prezzi, decisi sulla testa degli agricoltori dalle speculazioni dei mercati finanziari e slegati dalle dinamiche della domanda e dell’offerta.

Fra i rincari più pesanti per le aziende cerealicole si segnalano i costi per il fabbisogno idrico, che dagli abituali 150 euro per ettaro sono saliti a più di 400, dovendo implementare l’irrigazione per le altissime temperature di queste settimane. Lo scenario così negativo sta, addirittura, inducendo alcuni a non investire nelle irrigazioni di emergenza, convinti che il costo maggiorato non verrebbe ripagato in fase di commercializzazione del mais in autunno.

Assosementi

“Da anni l’area di coltivazione del mais mostra una preoccupante contrazione, con conseguente aumento delle importazioni per rispondere all’intero fabbisogno”, è il commento di Paolo Marchesini, Presidente della Sezione colture industriali di Assosementi. “Viviamo un momento in cui il mercato riconosce alla granella di mais prezzi più alti rispetto al passato. Eppure, la tendenza non si è invertita, perché gli agricoltori sono scoraggiati dall’aumento dei costi di molti fattori di produzione, in particolare dei fertilizzanti, che riducono drasticamente gli effetti delle attuali quotazioni” ha aggiunto Marchesini.

“Anche altri fattori giocano un ruolo importante in questa situazione. Alcuni sono strutturali, come la scarsità delle superfici, accentuata da un’annata record per le semine di frumento. Altri invece congiunturali, come l’andamento meteorologico. La paura della siccità, derivante da una prolungata assenza delle piogge, è un aspetto che ha inciso sulle scelte di molti agricoltori” ha spiegato Marchesini.

“Da una prospettiva reddituale, il mais sembra dunque meno competitivo rispetto ad altre scelte colturali, come appunto la soia che è meno esigente in termini di apporti, soprattutto di azoto e dunque comporta costi di produzione inferiori. Alla luce dei rischi legati a un’eccessiva dipendenza dall’import di materie prime e in considerazione delle scelte strategiche che il nostro Paese sta definendo per l’applicazione in Italia della riforma della PAC, l’auspicio è che i nostri policy-maker optino per misure in grado di contribuire al rilancio delle produzioni maidicole in Italia” ha concluso Marchesini.

di Anna Roma

Photo: Fotolia©_Željko_Radojko