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Coronavirus, l’agroalimentare tiene ma è penalizzato dal calo dei consumi: -10%

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Nei mesi del lockdown la filiera agroalimentare ha dimostrato la sua centralità nell’economia nazionale. Forte dei numeri positivi del 2019 e del suo ruolo imprescindibile nel tessuto economico-sociale italiano, ha contenuto gli effetti della serrata. Le ripercussioni negative non sono mancate, in particolar modo sul fronte dei consumi, verosimilmente più ridimensionate rispetto agli altri comparti economici. Il quadro si è fatto più chiaro con il passare dei mesi, come indica Ismea. Un quadro che le organizzazioni che hanno preso parte a Cibus Forum Fiere di Parma hanno ben presente e che rappresenta l’orizzonte di riferimento a fronte del quale poter tracciare delle strategie di rilancio.

Le differenze dell’impatto della pandemia sul settore primario e sugli altri settori erano già emerse nel corso della fase acuta dell’emergenza sanitaria. Ad esempio un’indagine di Cerved dello scorso maggio aveva stimato un calo molto più contenuto del fatturato nel settore agricolo di quello patito da altri comparti. L’analisi aveva delineato due scenari, uno soft, con la riapertura delle attività produttive da maggio pur con l’adozione di misure di contenimento dei contagi, e uno hard, con nuovi periodi di lockdown e una fase emergenziale prolungata fino a fine anno. Nel primo – paragonabile alla situazione odierna del Paese – il fatturato delle aziende agricole passerebbe da 35,4 a 34,9 miliardi di euro (-1,4%); nel secondo il calo sarebbe maggiore, ma comunque non catastrofico: -2,4%, con un fatturato portato a 34,5 miliardi di euro. Il tasso di variazione del fatturato generale sarebbe, nei due scenari, rispettivamente del 12,7% e del 18% con moltissimi comparti penalizzati da crolli del fatturato a doppia cifra (i sistemi di trasporto, l’elettromeccanica, il settore delle costruzioni, ecc.).

Modesto incremento della spesa domestica

La peculiarità del settore primario rispetto ad altri segmenti produttivi, più in sofferenza, è stata evidenziata anche da Coldiretti nel corso di Cibus Forum. La filiera, che l’organizzazione ha definito la prima ricchezza del Paese, ha un fatturato di 538 miliardi di euro, con un export che nel 2019 ha toccato livelli record raggiungendo quota 44,6 miliardi di euro. Sulle esportazioni – in base agli ultimi dati riferiti però al 2018 – la produzione certificata continua a farla da padrona. Secondo Ismea-Qualivita l’incidenza sul totale dell’export agroalimentare è pari al 21%, con una crescita del 2,6% e un valore di oltre 9 miliardi di euro. 

Tutto il settore – aggiunge Coldiretti – rappresenta il 25% del Prodotto interno lordo e conta 3,8 milioni di posti di lavoro, con 740 mila aziende agricole e 70 mila industrie alimentari. A queste si aggiungono le 330 mila attività di ristorazione, probabilmente tra quelle che hanno subito i danni più gravi del lockdown (condivisi con alcune delle filiere agroalimentari).

Nel suo terzo rapporto sull’impatto di CoVid-19 sulla domanda e l’offerta dei prodotti alimentari Ismea ha rilevato una riduzione di 24 miliardi di euro della spesa. E il contributo decisivo è arrivato proprio dalla chiusura del canale Horeca. Nel 2019, infatti, il consumo alimentare fuori casa aveva fruttato 86 miliardi di euro, con un aumento dell’1,6% rispetto al 2018. Per il 2020 l’istituto parla di prospettive di consumi extradomestici “tutt’altro che incoraggianti”. La stima indica la riduzione in 34 miliardi di euro. 

Considerando una piccola compensazione dei consumi domestici del 6%, il calo generale della spesa alimentare si aggira così intorno ai 24 miliardi di euro, quindi un 10% in meno rispetto ai livelli del 2019. Questa riduzione – conclude Ismea – si tradurrebbe in una riduzione del valore aggiunto dello 0,9% della produzione agricola e dell’1,4% dell’industria alimentare, delle bevande e del tabacco.



Foto: Pixabay

 

redazione