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Cremona, Lombardia il sistema-Latte alla sfida dei prezzi

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Lombardia e latte, un binomio insuperato. La regione guida la produzione nazionale con il 40% (40,97%), seguita a notevole distanza da Emilia Romagna (15,93%) e Veneto (10,23%). Numeri importanti, come quelli delle circa 40.000 aziende agricole che compongono il sistema-latte lombardo. “La tradizione della produzione del latte nella nostra area ha una storia millenaria ed è ancora oggi il settore trainante per l’agricoltura lombarda, rappresentando il valore aggiunto di tutta la filiera agroalimentare”, spiega Ildebrando Bonacini, vicedirettore e responsabile degli aspetti economici e ambientali della Libera Associazione Agricoltori Cremonesi, che rappresenta numerosi allevatori della provincia. 

 

Cremona è un punto di vista privilegiato per guardare al cuore del settore. L’11% del latte prodotto in Italia viene da lì, circa 11 milioni di quintali nel 2011. “Di questo il 50% – ricorda Bonacini – è diretto all’industria di trasformazione alimentare, la maggior parte è latte alimentare, mentre l’altro 50% va alle cooperative sociali per produzioni tipiche come Grana Padano e provolone”.  

 

Costi più alti, aziende più piccole – La dimensione delle aziende è radicalmente cambiata negli ultimi anni in tutta la Lombardia. Dal 1995 al 2011 gli allevamenti di vacche da latte sono passati da circa 14.000 a 6.500. Stesso discorso nel distretto cremonese. “Dall’introduzione delle quote latte in poi, negli ultimi 15-20 anni, a Cremona gli allevamenti si sono praticamente dimezzati, passando da 2000 a circa 1000, mentre la quota di produzione è rimasta invariata”, continua Bonacini. Risultato: i piccoli allevatori stanno scomparendo. O quasi.    

 

“Fino a 10 anni fa un’allevamento con 150-200 vacche – sottolinea Bonacini – poteva essere considerato grande, adesso è un’azienda medio-piccola, una che possedeva 10mila quintali di quota si poteva considerare nella media, oggi fa fatica a sopravvivere”. Colpa dei costi, che sono lievitati anni in maniera eccezionale: quelli fissi per il mantenimento dell’allevamento, del personale, per fertilizzanti e gasolio, per gli alimenti zootecnici, sottoposti alle pesanti oscillazioni del mercato delle materie prime, che preoccupano anche gli allevatori. Una situazione insostenibile perché “le commodities stanno influenzando i mercati delle materie prime con ripercussioni su tutta la filiera”, spiega Bonacini, alimentando “divergenze di vedute anche nel rapporto tra allevatore e produttori di mangimi, da sempre legati da un rapporto importante – afferma Bonacini – che passa attraverso anche la qualità e la tracciabilità del prodotto”. La speculazione sui mercati internazionali sta mettendo a dura prova tutti gli attori del sistema e “l’allevatore si trova in grande difficoltà in questo momento, per fattori sui quali non può incidere”, ricorda il rappresentante dell’associazione. Buona parte del sistema agricolo cremonese e lombardo è, infatti, legato alla trasformazione in latte, con una buona percentuale rappresentata dalla produzione di mais da granella per la produzione molitoria e mangimistica. Cremona è la prima produttrice di mais in Lombardia: nel 2011 ha raccolto di 6.972.000 quintali di mais (calcolati in granella secca), pari al 24% della produzione regionale complessiva. Alle difficoltà finanziarie per gli allevatori si sommano le tensioni rappresentate dalla domanda per la trasformazione in biogas e la siccità di quest’anno, che ha ridotto i raccolti e anche la produzione di latte in stalla, dal 10 al 20% in meno.    

 

Prezzi: a settembre nuovo accordo – Le strategie di contenimento dei costi adottate in azienda sono esaurite. “L’unica difesa è fare economia a livello aziendale, ma anche questo non basta più. È già stato fatto molto a livello dei costi e dal punto di vista della razionalizzazione – dice Bonacini -. È stata messa in cantiere l’innovazione tecnologica, ma per fare investimenti sono necessari dei ritorni”. In questo senso anche la fase conclusiva del negoziato sulla riforma della Pac è guardata con molta attenzione e preoccupazione da agricoltori e allevatori lombardi. “Il problema è quello di riversare le risorse verso il settore produttivo – ragiona Bonacini -. La Pac nasce vecchia, quando ancora non c’era il boom dei Paesi emergenti e bisognava produrre meno, oggi la richiesta mondiale di cibo è fortemente aumentata e la Pac dovrebbe seguire questo orientamento e agevolare gli incrementi produttivi”. Argomenti che verranno affrontati in diversi incontri durante la Fiera internazionale del bovino da latte di Cremona.

 

In Lombardia, a settembre, ci sarà il rinnovo dell’accordo regionale che aveva stabilito una media di 38,46 centesimi al litro del latte. “Un prezzo che non copre i costi di produzione – dice Bonacini -, stiamo lavorando sottocosto”. Decisamente meglio va al latte destinato alla produzione di Grana Padano che ha dato ritorni di 50 centesimi per litro, anche grazie alla buone performance di vendita sul mercato italiano e estero, con incrementi a due cifre. Andrebbe fatto molto di più per il latte fresco. “Il classico fresco intero pastorizzato che va sulle tavole degli italiani è il migliore in assoluto – afferma Bonacini – e quello cremonese supera tutti gli standard. La qualità e i controlli del latte italiano sono universalmente riconosciuti come i migliori e molto si deve anche alle nostre aziende, iper-controllate e sicure, dei veri ‘signori allevamenti’ che ci invidiano in tutto il mondo”. 

 

Foto: Pixabay

Cosimo Colasanto