di Amedeo Reyneri – Università di Torino
Nel corso del tempo l’alimentazione negli allevamenti si è progressivamente orientata verso materie prime con alto valore energetico o proteico per soddisfare le esigenze dei sistemi intensivi. Le granelle di cereale, di proteaginose e oleaginose, intere o trasformate in farine e panelli sono progressivamente divenute un elemento chiave per soddisfare le alte esigenze sia dei singoli capi, che dell’allevamento nel suo complesso. La forte specializzazione produttiva ha determinato una frequente separazione tra la fase produttiva agricola e quella dell’allevamento vero e proprio dei capi in produzione. Tale separazione è parziale per l’allevamento del bovino da latte e da carne, intermedia per quello suino e molto pronunciata – se non completa – per quello avicolo.
Nel contesto delle aziende a indirizzo zootecnico la produzione diretta aziendale di granelle rimane rilevante, ma nel complesso assai minoritario rispetto a quella veicolata attraverso l’impiego mangimistico (Figura 1). La produzione di granelle è quindi ottenuta in gran parte da aziende cerealicole o, più in generale, a seminativi diverse da quelle zootecniche.
Per far fronte alla decrescente redditività dei seminativi e a fronte di questa forte richiesta di granella e degli strutturali limiti produttivi nazionali sui seminativi, le filiere nazionali hanno attivato da diversi anni alcuni percorsi per la produzione di specialties, ovvero di produzioni dedicate a definiti impieghi e che non possono essere facilmente reperite con le ordinarie importazioni. In particolare, il mais a granella bianca da impiegare per la produzione di carne avicola, gli ibridi di mais con composizione equilibrata di acidi grassi per quella di prosciutti, o la soia a basso titolo di fattori anti-nutrizionali per l’impiego diretto, sono alcuni esempi di filiere specializzate di interesse zootecnico. Tuttavia, a causa di una offerta frammentata, dei costi di segregazione e dei problemi sanitari (micotossine nel mais) queste iniziative rimangono limitate se non talvolta incompiute. Ciò si riflette spesso in una minore quotazione sui mercati, con differenze anche significative nelle annate meteorologicamente più soggette alla presenza di muffe e alla conseguenza concentrazione di micotossine; inoltre, nel contesto delle commodities per il settore feed, la differenziazione in specialties non è sempre riconosciuta adeguatamente, limitando la possibilità di introdurre elementi di differenziazione in grado di essere riconosciuti e valorizzati sul mercato. In tale contesto occorre che l’azienda a seminativi sia in grado di recuperare i margini attraverso l’adozione di una genetica e di una agrotecnica aggiornate per recuperare quel vantaggio produttivo e qualitativo/sanitario che un tempo distinguevano la cerealicoltura e le colture oleo-proteaginose nazionali.
Considerando il sistema colturale e la forte dipendenza dalle importazioni, e limitandosi alle sole due colture esaminate, la superficie necessaria per conseguire una ipotetica autosufficienza sarebbe pari a 650.000 ha di mais da granella e di 2.0 milioni di ettari di soia. È pertanto evidente la debolezza del sistema produttivo nazionale di granelle per alimentare la zootecnia nazionale e il rischio di vedere poste in discussione le produzioni di eccellenza IGP e DOP nel rispondere al Regolamento UE 664/2014, per il quale i prodotti a origine geografica protetta debbono impiegare una percentuale vincolante del 50% di materie prime originate dal territorio. Pertanto, se l’andamento delle superfici destinate a tali granelle dovesse continuare a ridursi, diverrebbe sempre più necessario canalizzare le produzioni nazionali di mais e soia per quegli allevamenti dove i disciplinari rendono necessario il rispetto dell’origine italiana degli alimenti. D’altra parte gli altri cereali foraggeri quali orzo, segale, triticale e frumento, possono competere con il mais a causa della minore produzione e per il frumento dal prioritario impiego per la produzioni molitorie. Più in generale considerando che le rese produttive medie dei cereali a paglia sono circa dimezzate rispetto al mais, l’autosufficienza di granella di cereale per impieghi zootecnici richiederebbe una superficie di circa 1.1 milioni di ettari. Non diverso è il motivo che assegna alla soia la posizione di preminenza nei confronti delle altre colture proteaginose: infatti, né il pisello proteico né il favino possono in molti areali competere con la soia in relazione alla maggiore resa e al superiore valore di mercato. Tuttavia, sia nel contesto nazionale, sia nel complesso dei Paesi della UE, la capacità di sostenere la produzione di proteine vegetali è limitata e l’obiettivo non può che essere il mantenimento di un livello di autoapprovvigionamento parziale.
Nel presentare il Rapporto sul futuro della competitività dell’Europa, Mario Draghi ha presentato un’analisi in tre aree principali: colmare il divario d’innovazione, adottare un piano congiunto decarbonizzazione-competitività, aumentare la sicurezza e la riduzione delle dipendenze. Il settore dell’approvvigionamento delle commodities agricole si colloca a pieno titolo in questa terza area. In questo quadro, divenuto di crescente attualità in questi anni, il sostegno verso queste 2 colture fondamentali è quindi di estrema rilevanza. Una strategia per il loro rilancio è quindi necessaria considerando entrambi gli aspetti, sia quelli più tecnici riguardanti l’innovazione agrotecnica e genetica, sia quelli relativi all’applicazione delle politiche agricole di promozione e sostegno.
In conclusione, la ridotta disponibilità nazionale di superficie destinata ai seminativi e la crescente richiesta di prodotti d’origine destinati all’allevamento dei prodotti di eccellenza a denominazione d’origine comporta il rilancio dei seminativi con al centro la produzione delle colture da granella.
