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Portare la soia nei paesi in via di sviluppo, la sfida dell’agricoltura di domani

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È possibile coltivare la soia con successo anche nei paesi in via di sviluppo, ma per farlo sarà necessario adottare cambiamenti significativi. Lo afferma Peter Goldsmith, economista agrario dell’Università dell’Illinois (Usa), che in uno studio pubblicato sulla rivista Tropical Conservation Science sostiene che l’impiego di una coltura commerciale come la soia potrebbe incrementare i profitti degli imprenditori agricoli e il salario dei lavoratori, ma comporta la modifica dei metodi di gestione dell’attività agricola.

“Convincere gli agricoltori dei paesi in via di sviluppo a coltivare la soia comporta un cambiamento del loro modo di coltivare le piante – afferma il dottor Goldsmith -. Ne serve uno diverso da quello a cui sono abituati. Può richiedere nuove attrezzature e una formazione adeguata. Le pratiche necessarie per massimizzare il rendimento della soia e la redditività delle piantagioni richiedono la fertilizzazione e la gestione dei parassiti, e pertanto comportano l’applicazione di fertilizzanti e pesticidi chimici”.

L’esperto sottolinea che l’uso delle sostanze chimiche nei paesi in via di sviluppo dev’essere equilibrato e sostenibile, evidenziando che se effettuato correttamente, può arrecare significativi vantaggi economici. Per supportare questa opinione, fa l’esempio delle piantagioni del Brasile centro-occidentale, dove il costo del lavoro è pari al 9% della spesa totale, mentre quello dei pesticidi raggiunge il 47%. In queste zone il rendimento della soia è elevato, mentre nel Ghana settentrionale, dove il costo del lavoro è pari al 75% dei costi totali di produzione e non vengono usate sostanze chimiche, la resa è pari a un quinto di quella brasiliana.

Goldsmith osserva che l’azienda agricola sperimentale “USAID Soybean Innovation Lab” avviata a Nyankpala (Ghana), impiega alcune pratiche agronomiche di base e le tecnologie disponibili localmente, insieme a fertilizzanti e pesticidi. Presso l’azienda i costi del lavoro sono ancora elevati, pari al 55%, ma il rendimento è migliore che nel resto del Paese e il profitto raggiunge i 79 centesimi per dollaro di lavoro investito.

“Per me, il tradizionale scenario a basso consumo del nord del Ghana è inaccettabile – afferma Goldsmith -. Chiedere agli agricoltori di coltivare la soia senza fertilizzanti e pesticidi è come offrire loro un trattore a tre ruote o una pompa senza maniglia: il risultato sarà negativo, gli agricoltori saranno frustrati, produrranno un raccolto e poi si fermeranno”.

Lo specialista precisa che le sue osservazioni non intendono essere pessimistiche, ma vogliono essere realistiche e spingere a investire in modo appropriato. Nei paesi in via di sviluppo è necessario, a suo avviso, utilizzare le sostanze chimiche per combattere parassiti ed erbacce, impiegare i fertilizzanti per migliorare la qualità del suolo e utilizzare sementi certificate. “Se verranno effettuate queste modifiche, le colture commerciali come la soia offriranno nuove e importanti opportunità per combattere la povertà, aumentare la disponibilità di cibo e accrescere lo sviluppo economico rurale – conclude l’esperto -. Ma sarà necessario cambiare le regole della produzione agricola tradizionale”.

 

Foto: Pixabay

red.