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Crisi coronavirus, Del Bravo (Ismea): “Colpo più duro per imprese legate a Horeca e turismo”

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Ismea, l’Istituto di Servizi per il Mercato agricolo alimentare, ha fotografato l’andamento del settore agroalimentare nella prima fase dell’emergenza CoVid-19. La valutazione delle conseguenze delle misure restrittive è contenuta nel “Rapporto sulla domanda e l’offerta dei prodotti alimentari nelle prime settimane di diffusione del virus”. Mangimi & Alimenti ne ha parlato con Fabio Del Bravo, responsabile della Direzione Servizi per lo Sviluppo rurale dell’istituto.

La gestione dell’emergenza sanitaria per la diffusione del coronavirus non ha risparmiato il settore agroalimentare. Nonostante il carattere di essenzialità dei beni prodotti abbia permesso a tutti gli attori della filiera di continuare a operare, il comparto ha subito un contraccolpo non trascurabile. Anche sul lato della domanda ci sono state delle ripercussioni, con delle variazioni nei comportamenti d’acquisto. “Il settore agroalimentare è apparso subito al centro dell’attenzione”, ricorda Fabio Del Bravo. “Sul fronte di consumatori – spiega – c’è stata, fin dalle prime fasi, una reazione istintiva all’accaparramento di beni alimentari e sul fronte politico la consapevolezza che il buon funzionamento della filiera e la capacità di assicurare il rifornimento della distribuzione rappresentasse, allo stesso tempo, un segnale importante sia dal punto di vista economico che sociale”. 

Le cronache hanno mostrato la reazione degli italiani di fronte alle nuove disposizioni: “Ho avuto la possibilità di guardare gli eventi da un osservatorio privilegiato, consapevole che difficilmente avremmo vissuto una carestia sul fronte alimentare”, continua il rappresentante dell’Ismea. “È stato quindi piuttosto sconvolgente osservare – in generale – la corsa agli accaparramenti e la disponibilità a restare ore in fila anche solo per una banale spesa a fronte di una distribuzione che non ha mai evidenziato palesi carenze di prodotto. Mi ha indubbiamente colpito la rapidità con cui le famiglie italiane hanno riorganizzato la propria vita da segregati in casa attribuendo alla cucina un ruolo fondamentale e coniugando così esigenze diverse come mangiare bene, trascorrere tempo in maniera intelligente e senza sperperare denaro. Ecco quindi gli incredibili salti in avanti negli acquisti di farina, di uova, di zucchero e, soprattutto, di lievito di birra improvvisamente diventato protagonista anche sui social”.

Più penalizzati settori carne bovina e suina

Dalla gestione della crisi sanitaria sono derivati alcuni elementi che hanno condizionato il settore agroalimentare. La chiusura del canale Horeca, le difficoltà nell’approvvigionamento di materie prime con gli intoppi nella logistica e nei trasporti, le diverse modalità di prestazione del lavoro da parte della manodopera con le regole di sicurezza prescritte per i luoghi di lavoro, la conseguente riduzione dell’attività. L’esempio del settore lattiero-caseario è indicativo in questo senso. I caseifici hanno contratto l’attività, le vendite di formaggi sono diminuite, le quotazioni del latte sono scese per via dei minori volumi ritirati dagli allevamenti. Con la chiusura di ristoranti, gelaterie, pizzerie, bar e mense è diminuita la richiesta di prodotto, dal latte alla mozzarella.

L’effetto della crisi sui diversi settori dell’agroalimentare è stato generalmente omogeneo: “Credo che, con l’eccezione del florovivaismo e della pesca, che hanno incassato un colpo immediatamente violento, non sia esattamente corretto parlare di impatto maggiore o minore sui singoli settori. La realtà ha evidenziato che ogni settore ha avuto delle aree che hanno subito maggiormente l’emergenza mentre altre che possono avere addirittura guadagnato dalla situazione di emergenza. In particolare, il colpo più duro lo hanno subito, per esempio, quelle imprese la cui filiera è più legata alla fornitura dell’Horeca o, in generale, all’attività turistica. Oppure, ci sono state aree in cui gli stabilimenti di lavorazione o la logistica hanno avuto più difficoltà, indipendentemente dalla filiera di appartenenza, a causa del personale malato o indisponibile o della necessità di riorganizzare l’attività produttiva rispondendo agli schemi minimi di prevenzione come il distanziamento, ecc.”, spiega Del Bravo.

Nel settore zootecnico, ad esempio, hanno sofferto le aziende mangimistiche che hanno pagato la dipendenza dell’Italia dall’estero per l’approvvigionamento di materie prime ma anche le difficoltà nell’acquisto degli integratori per l’alimentazione animale, quasi tutti di origine cinese.

Sul settore della carne la portata della crisi è stata più o meno ampia. L’avicoltura ha parato i colpi grazie alla filiera integrata e al suo mercato autosufficiente. La domanda ha raggiunto livelli superiori alla norma costringendo all’anticipo dei carichi in maturazione nelle settimane successive. La filiera del comparto bovino ha invece mostrato diverse criticità: dopo le prime quattro settimane si sono palesate incognite per il futuro con la sospensione/riduzione del lavoro di alcune società di export e degli autotrasportatori. L’attività di macellazione si è ridotta per il calo degli acquisti nelle seconde due settimane e i prezzi sui mercati europei sono diminuiti.

La chiusura dell’Horeca e il rallentamento dell’attività dei macelli ha penalizzato anche il settore della carne suina. La domanda di suini da macello in calo e l’abbondanza di capi negli allevamenti ha portato al ribasso i prezzi all’origine. Lo stop a ristoranti e pizzerie ha fatto calare i prezzi dei tagli per i prodotti stagionati, mentre quelli destinati al fresco e alla vendita nella Gdo si sono mantenuti su livelli elevati.

Previsioni fosche per l’export

Nei mesi che verranno, ancora condizionati dalla crisi coronavirus, saranno diversi gli aspetti problematici. “Posto che sull’Horeca e il suo futuro pesa un enorme punto interrogativo, vedo almeno due grandi aree di criticità per la filiera agroalimentare: l’export e la manodopera”, è il pensiero di Del Bravo. Sul primo punto “il 2019 si è chiuso con risultati più che confortanti e il 2020 ha preso avvio sotto i migliori auspici. La chiusura della ristorazione in gran parte dei Paesi di destinazione dei nostri prodotti agroalimentari, la crisi economica che potrebbe minare la domanda di prodotti premium come quelli del nostro Made in Italy, così come il crollo del prezzo del petrolio che potrebbe impattare pesantemente sulla domanda dei Paesi con un’economia sostanzialmente basata sull’export di petrolio e, infine, le politiche di preferenza per il prodotto interno che molti Paesi hanno cominciato a promuovere, sono tutti elementi che potrebbero avere un sensibile riverbero sulle performance del nostro export”.

Sul secondo aspetto la crisi potrebbe anche rappresentare un’opportunità. “Sul fronte della produzione agricola, poi, si pone drammaticamente il tema della disponibilità di manodopera, soprattutto per le grandi campagne di raccolta di ortaggi e frutta. Forse sarà l’occasione per affrontare in maniera organica e definitiva un tema che assilla il settore da decenni”, conclude Del Bravo.

Vito Miraglia