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Filigrana: un progetto di ricerca per il miglioramento della filieraproduttiva del Grana Padano

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Le rilevanti dimensioni economiche della filiera lattiero-casearia danno una chiara indicazione del ruolo fondamentale che essa riveste per il sistema agroalimentare italiano. La filiera si snoda a livello locale costituendo nelle diverse realtà un essenziale tassello dell’economia. Negli ultimi anni il legame con il territorio viene sancito per le produzioni tipiche, in particolare per i formaggi a denominazione tutelata a livello comunitario (Denominazione di Origine Protetta – DOP – ed Indicazione Geografica Protetta – IGP), secondo principi aggiornati dai recenti Reg. (CE) N. 510/2006 e Reg. (CE) N. 1898/2006. Un rilievo particolare riveste la produzione del Grana Padano DOP, che può essere prodotto nel territorio di 35 province, con la utilizzazione di oltre 2,3 milioni di tonnellate di latte, pari a circa il 23% del latte italiano, ovvero circa il 50% del latte della zona DOP (Lombardia, Veneto, Piemonte, Trentino e l’emiliana Piacenza).

 

Nel 2012 sono state prodotte 4.721 234 forme (+8,4% su 2008), delle quali il 30% è stato esportato. I 148 caseifici interessati alla produzione di Grana Padano DOP ritirano oltre 3 milioni di tonnellate di latte, in quanto una parte minore del latte viene destinato anche ad altri formaggi DOP. Le stalle interessate sono oltre 5.500, gli addetti coinvolti sono più di 25.000 ai quali vanno aggiunti altri 15.000 nell’indotto diretto, per un totale di oltre 40.000 persone. Il valore alla produzione supera abbondantemente 1,6 Mld di € che al consumo diventano 3,5 Mld di €; l’export vale il 35%. Questo formaggio è la DOP più consumata al mondo. In un momento congiunturale quale quello attuale questi aspetti rivestono un’importanza fondamentale anche per la sostanziale tenuta del settore, che ha avuto un andamento in controtendenza rispetto al resto dell’economia.

 

L’importanza della produzione di Grana Padano DOP è documentata dal fatto che il prezzo di questo formaggio influisce in modo determinante sull’intero comparte del latte italiano, nel quale, storicamente, i costi di produzione alla stalla sono i più alti di tutta Europa. Nei Paesi Europei a maggiore “vocazione lattiera”,  quali Francia e Germania, il prezzo del latte italiano alla stalla è mediamente più alto del 15-20%, per cui la sopravvivenza della zootecnia da latte italiana è garantita prevalentemente dal valore di trasformazione del latte in Grana Padano DOP. Pertanto, come confermano i più noti osservatori economici del settore, il sistema lattiero-caseario italiano non potrebbe sopravvivere senza il Grana Padano DOP. Inoltre, tutto ciò incide anche sulla gestione dell’intero sistema agricolo italiano, dato che la maggioranza delle coltivazioni a mais, erbai polifiti, medicai e prati stabili sono destinati all’alimentazione dei bovini,  in particolare delle bovine da latte, garantendo un reddito sufficiente agli agricoltori. Si può quindi affermare che il Grana Padano sorregge l’intera zootecnia da latte italiana e buona parte delle più importanti colture agronomiche, con un indotto che coinvolge decine di migliaia di famiglie. Per questi motivi si è ritenuto di dare vita in via prioritaria ad un progetto finalizzato al miglioramento delle caratteristiche casearie del latte bovino per la filiera produttiva del Grana Padano DOP.

 

La filiera produttiva del Grana padano, da oltre 50 anni, è regolata da un disciplinare di produzione; quello attualmente in vigore è codificato dal Reg (UE). 584/2011, che precisa il territorio  interessato, le caratteristiche dell’alimentazione delle bovine, le procedure di caseificazione, basate sull’impiego di latte crudo, le modalità di stagionatura (periodo minimo 9 mesi) e commercializzazione del formaggio. Il Disciplinare è il frutto della raccolta delle procedure tradizionalmente impiegate per questa produzione. Le prerogative salienti sono: stretto legame con il territorio; sistema produttivo rispettoso della ”tradizione”, basato sull’impiego prevalente di foraggi aziendali, soprattutto insilati (silomais in particolare), su un’attenta gestione dell’alimentazione, dai foraggi, ai mangimi ed agli additivi; attenzione all’ambiente, al benessere animale ed alle esigenze dei consumatori in termini di qualità e di sicurezza. L’utilizzo degli insilati, soprattutto del silo-mais, previsto dal disciplinare, comporta indubbi vantaggi economici, ma può porre problemi durante la lunga stagionatura (fino a 24 mesi ed oltre).


L’alterazione su base microbiologica che più  frequentemente colpisce le produzioni casearie a lunga stagionatura è una fermentazione di tipo gassogena che produce il gonfiore tardivo, così definito poiché inizia da qualche settimana a qualche mese dopo la produzione del formaggio, durante la stagionatura, quando le condizioni fisico-chimiche della pasta diventano ottimali per lo sviluppo dei clostridi. Tali clostridi appartengono principalmente al gruppo dei butirrici, ulteriormente suddivisibile in due sottogruppi fisiologici: i saccarolitici (Cl. tyrobutyricum e Cl. butyricum) e i proteolitici (Cl. sporogenes). I primi causano un’alterazione della struttura delle forme per la produzione di gas nella pasta ed aromi sgradevoli legati alla produzione di butirrato; i secondi liberano e metabolizzano gli amminiaocidi, con processi di deaminazione, decarbossilazione, ossidazione e riduzione che determinano, nei casi più gravi, in odori nauseabondi.

 


L’origine dei clostridi è ambientale e numerose ricerche hanno analizzato le loro modalità di diffusione. Il Cl. tyrobutyricum, batterio anaerobico ubiquitario, è presente soprattutto nel terreno ricco di sostanza organica. Dal terreno, a causa di fattori ambientali (pioggia, vento, ecc.) e delle macchine operatrici, le spore dei clostridi passano ai foraggi da affienare e da insilare. Nell’insilato alcune specie di Clostridi trovano le condizioni ottimali per moltiplicarsi, se il processo di insilamento non è effettuato in modo ottimale. Lo sviluppo dei clostridi è legato a una lenta ed insufficiente acidificazione del foraggio, specie in condizioni di un’eccessiva acquosità e/o un insufficiente contenuto di zuccheri fermentescibili, condizioni queste frequentemente presenti negli insilati di erba del nord Europa, non preappassita. Nel silomais e negli insilati di erba preappassiti, con tenore di sostanza secca del 35% circa, non si verificano condizioni favorevoli allo sviluppo di clostridi. Il problema si sposta nelle aree dell’insilato soggette a deterioramento aerobico, ossia quelle più esterne alla massa insilata e più a contatto con l’aria. La presenza di ossigeno nelle prime fasi di insilamento può causare un aumento della temperatura, legato al metabolismo delle stesse cellule vegetali, che inibisce le cellule vegetative batteriche. In queste stesse aree le spore, insensibili all’aumento della temperatura, possono crescere quando si instaurano condizioni di anaerobiosi. I clostridi di origine ambientale sono in grado di giungere al latte sotto forma di spore, attraverso una contaminazione diretta, prevalentemente dalle feci, oppure indirettamente da parte dei liquami.

Foto: Pixabay

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