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Ismea, stoccaggio punto debole della filiera cerealicola

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I centri di stoccaggio sono inadeguati ai bisogni della filiera cerealicola. Molti sono poco moderni, hanno una capacità oraria di lavorazione ridotta, una sola fossa di ricevimento e linee di carico che limitano lo stoccaggio differenziato per partite omogenee di prodotto. A dirlo è Ismea nel nuovo censimento delle strutture di stoccaggio dei cereali in Italia. Sono 1460 le strutture rilevate sul territorio nazionale, con una distribuzione disomogenea che premia il Nord. Dal quadro generale emerge come le strutture non siano del tutto consone e lo stoccaggio sia una fase critica della filiera. Sono necessari pertanto ammodernamenti e ristrutturazioni per le unità operanti e investimenti per nuove strutture.

Molti sono silos

L’impulso a effettuare un nuovo censimento è arrivato dal Piano Ceralicolo Nazionale del ministero delle Politiche agricole nel 2016 che aveva già individuato una criticità nell’organizzazione e struttura dei centri di stoccaggio. La prima edizione del censimento del 2012-13 è stata aggiornata con informazioni utili per orientare le politiche di sviluppo della filiera.  

In tutto sono state contattate 3.300 aziende di cui 1.103 in possesso di centri di stoccaggio per un numero complessivo di 1.460 unità. Oltre la metà si trova in cinque regioni: Emilia Romagna (13%), Lombardia (12%), Piemonte (11%), Veneto (8%), Toscana (10%). Si va dai 193 centri dell’Emilia Romagna ai 2 della Val d’Aosta. La presenza di questi centri si distribuisce per il 47% al Nord, per il 24% al Centro e il 29% tra tra Sud e Isole. I centri censiti hanno una capacità di stoccaggio complessiva che supera di poco i 9 milioni di tonnellate; quella media per singola unità è di 6.250 tonnellate. Alla luce di questo dato cambia la ripartizione territoriale, con il Sud che recupera: poco meno del 50% della capacità di stoccaggio si trova al Nord, il 16% al Centro, il 37% nel resto della Penisola. 

Le strutture sono silos per il 57% della capacità complessiva di stoccaggio e magazzini per il 40%. Ancora scarso l’uso dei silobags (1%). Le aziende che operano in questa fase prevalentemente commercializzano cereali: sono 669. Quelle che stoccano solamente sono 416 mentre la molitura è svolta da 278 aziende. In 184 si occupano di produzione di mangimi, in 161 di coltivazione e in 114 di attività sementiera.

Due centri su dieci costruiti prima del 1071

Poco più del 60% dei centri contattati ha fornito la data di costruzione del centro. Solo il 36% è successiva al 1990, per il 44% risale al periodo 1971-1990; il 20% è stato costruito ancora prima. Il 66% dei centri rispondenti ha dichiarato di non aver realizzato ampliamenti delle strutture; inoltre, i centri non sono risultati ammodernati e/o ristrutturati nel 57% dei casi. Ma il 43% dei centri rispondenti ha dichiarato di aver previsto interventi di ammodernamento e ampliamento. 

Prevalgono poi i centri con una sola fossa di ricervimento e una sola linea di carico: oltre il 60%. Circa il 22% dei centri ne ha due, il 12% più di due. Le limitazioni riguardano anche la capacità di scarico e carico: la metà circa la presenta inferiore ai 300 quintali/ora. Per la dotazione strumentale il 66% ha dichiarato di possedere strumenti rapidi di analisi, il 29% ha un essiccatorio mentre solo il 18% ha un laboratorio di analisi.

Mais differenziato per micotossine

Le informazioni sulla tipologia di prodotto stoccato sono state date dai centri che stoccano prodotto proprio (la metà del totale) oppure proprio e di terzi, il 16% (il 35% stocca solo quello altrui). Nel 2018 sono stati stoccati circa 6 milioni di tonnellate di granella, di cui il 30% frumento duro, il 27% frumento tenero, il 26% mais, il 5% orzo e il 12% altri prodotti (avena, sorgo, segale, farro, girasole, soia e riso). 

Il prodotto è differenziato nel 73% dei casi da parte dei centri che gestiscono solo il proprio prodotto e relativamente al frumento duro; per il tenero nel 51%; per il mais nel 39%; per l’orzo nel 29%. Il parametro adottato per la differenziazione è prevalentemente il peso specifico per tutte le colture tranne il mais: per questo cereale è infatti il livello di micotossine a orientare la differenziazione.  

Per la competitività della filiera – conclude Ismea alla luce di tutti questi dati – è necessario far leva sugli investimenti. Questi devono servire per realizzare un’adeguata differenziazione della granella per partite qualitativamente omogenee. La portata di questi interventi potrebbe coinvolgere anche la bilancia commerciale dei cereali strutturalmente strutturalmente in deficit con una possibile riduzione dell’import.

Foto: © Gina_Sanders_Fotolia

redazione